Attacco all’America dall’interno
Pubblichiamo l’intervento del professor Claudio Taddei, politologo, scrittore e collaboratore di diversi think thank, esperto di cose americane.
I facinorosi che dalla fine di maggio agiscono con saccheggi e aggressioni nelle strade di grandi città americane sono la milizia del partito Democratico, che ha dichiarato guerra all’America. La teppa è la manovalanza, e anche il braccio armato, del potere Democratico. In città da decenni governate dai Democratici, la teppa agisce con il consenso dei politici locali, dei procuratori distrettuali, della burocrazia. Dare fuoco alle chiese, distruggere vetrine, aggredire cittadini indifesi, abbattere statue, deturpare monumenti: queste azioni vengono trattate dai sindaci, dai governatori e dai politici Democratici in Congresso come manifestazioni di diritti civili. Alla polizia si ordina dapprima di restare in disparte; poi in alcune città (New York, Minneapolis, Filadelfia, Chicago ed altre) alla polizia vengono tagliati i fondi, anche in misura radicale, e vengono date istruzioni che impediscono di mantenere l’ordine pubblico. I sindaci di Portland, Seattle, Chicago, New York, Baltimora e altrove, giustificano e incoraggiano le aggressioni criminali della teppa. Fino al 25 giugno pochissimi facinorosi vanno in galera. Nessun agente dell’FBI viene mandato in supporto della polizia. Questo pauroso vuoto di ordine e di giustizia, che è durato un mese e che in parte prosegue in luglio a New York, a Portland e altrove, mette un segno sinistro sul futuro dell’America. Soltanto gli elettori possono rimediare. Purtroppo una parte della società approva le sommosse, come approva i soprusi del potere Democratico, perché ne ricava benefici.
Le sommosse dell’estate 2020 sono le più gravi in America da quelle seguite nel 1968 all’assassinio di Martin Luther King, poi fuse con le manifestazioni contro la guerra in Vietnam, durate per anni e causa di gravi episodi che sconvolsero molte famiglie americane. In confronto al 1968 vi sono oggi due differenze: la prima è che nel 1968 sindaci e governatori non diedero sostegno alle sommosse e non ordinarono alla polizia di restare in disparte; la seconda è che la sinistra liberal non era, come è oggi, una sola cosa con l’estrema sinistra, e i maggiori media non erano in modo uniforme al suo servizio. Quando nel 1968 le manifestazioni di strada divennero violente, la percezione prevalente nel pubblico fu di trovarsi di fronte a una minaccia per la società. Nelle elezioni del novembre 1968 i Democratici mantennero il controllo del Congresso, ma presidente fu eletto Nixon. Si trattava, in ogni caso, di un’altra società e di un’altra America. Oggi, come dice Newt Gingrich, “l’ideologia liberal si è mutata in anti-americanismo”. Le cattive idee si propagano con facilità. Se si può abbattere una statua di Lincoln, il presidente che rischiò la distruzione della nazione per liberare i neri dalla schiavitù e per mantenere unito il paese; oppure se si può ritirare dall’ingresso a un Museo di Storia la statua di Theodore Roosevelt, presidente vicino al popolo e interprete delle energie vitali del paese (e tra altre cose il primo presidente a invitare una famiglia di neri a pranzo alla Casa Bianca, cosa per cui fu attaccato dal partito Democratico); se si può fare questo, allora si può fare e dire qualsiasi cosa, e impedire la conoscenza e il pensiero libero. La canaglia non è mai stata così baldanzosa, perché non ha mai avuto tanto sostegno politico, mediatico e finanziario.
Della canaglia fanno parte studenti indebitati con lo stato, arroganti ma ignoranti; o professori che ricambiano il beneficio di una cattedra permanente con messaggi antiamericani e sediziosi. Ne fanno parte, anche se non scendono in strada, procuratori distrettuali come quello di Filadelfia o del Southern District di New York, noti per schierarsi contro la polizia e in favore di criminali. E ne fanno parte gli attivisti del terrorismo interno: Rudy Giuliani riferisce che nella direzione di BLM (Black lives matter) vi è una donna condannata a 58 anni di carcere per l’uccisione di un poliziotto, poi graziata da Clinton. Il partito Democratico, i media, alcune grandi società, l’industria dello spettacolo e le associazioni dello sport americano, con il sostenere e sussidiare BLM, promuovono un movimento politico che si dichiara marxista, che è antisemita, che odia l’America e odia chi è di pelle bianca.
Come la pandemia causata dal virus di Wuhan è stata ed è strumentalizzata dai Democratici con l’obiettivo di dissestare l’economia, così le sommosse di strada sono assecondate da coloro che vogliono il disordine prima delle elezioni, affinché “l’America di Trump” sembri ingovernabile. In passato le autorità locali chiedevano l’impiego di truppe federali o della National Guard per riportare l’ordine. Oggi il sindaco di Seattle o quello di Chicago, o di Washington, o il governatore della California, non vogliono che l’ordine sia restaurato, tanto meno con i militari. Per le città governate dai Democratici, Minneapolis è stato il banco di prova: si poteva ritirare la polizia, lasciar distruggere il centro della città e aspettare 6 giorni a chiamare la National Guard. In ogni città dove la teppa deturpava monumenti o simboli storici, i politici Democratici, dai sindaci fino ai leader in Congresso, portavano avanti il progetto di tagliare i fondi alla polizia e imporle restrizioni che le impediscono di agire. L’ultimo passo da compiere è togliere l’immunità legale agli agenti di polizia. Un sindaco come quello di New York (De Blasio) è il garante della teppa. Ha tagliato un miliardo di dollari dal bilancio della polizia in una città che da tre decenni non è mai stata così pericolosa. Centinaia di agenti danno le dimissioni o chiedono la pensione, mentre il sindaco indegnamente contribuisce a dipingere le iniziali di BLM sul selciato davanti alla Trump Tower. New York è devastata dal crimine, la “grande mela” è tornata ad essere una mela marcia. Il governatore Cuomo ha il potere di cacciare il sindaco, ma non lo fa. Il candidato Democratico alla presidenza, Biden, tace, rinchiuso nel suo appartamento. Biden è la maschera penosa dietro cui operano BLM o Antifa, e dietro cui avanza il progetto di distruggere la nazione con la tolleranza verso il crimine, con l’immigrazione e con il cambio di popolazione.
Nell’estate 2020 il ricatto ideologico basato sulla etnicità è invadente, anche paradossale. Il governo locale di Seattle dà istruzioni ai funzionari banchi di “liberarsi della loro condizione di bianchi” e di prepararsi a rinunciare a posti di lavoro in favore delle minoranze etniche. In California si impediscono le attività collettive, ad eccezione delle sommosse; e intanto i Democratici al governo fanno uscire di prigione migliaia di detenuti (18 mila a progetto completato) per “evitare il contagio”, in realtà attuando il noto programma di svuotare le prigioni, che si affianca a quello di tagliare i fondi alla polizia. Quando verrà il giorno in cui i cittadini della California si ribelleranno? Forse mai, perché la confusione sociale e culturale è condizionante. Anche in altri stati, chi usa l’espressione “All lives matter” (tutte le vite contano) oppure “Blue lives matter” (le vite dei poliziotti contano) viene accusato di “razzismo” negli studi televisivi, viene aggredito e percosso nelle strade e nei campus. Persino una pubblicazione dell’Esercito scrive che la sigla MAGA (Make America Great Again) è un esempio di “suprematismo bianco”; la pubblicazione viene ritirata, ma nessuno paga per l’idiozia pubblicata. Poche sono le voci che ricordano che non vi è disparità razziale a danno dei neri in America, nemmeno in termini di reddito: le maggiori differenze di reddito sono tra neri molto ricchi e poveri. Mentre quartieri di città americane divengono territori di illegalità, vi è chi cerca sollievo nell’ironia: come nel disegno in prima pagina del New York Post in cui una coppia, mentre minacciosi invasori sfasciano le finestre della loro camera da letto, telefona al numero della polizia e chiede: “Potreste mandare subito un assistente sociale?” (la sinistra Democratica vuole sostituire i poliziotti con assistenti sociali).
Davanti a tutto questo la possibilità di intervento da parte di Trump, già limitata dalle autonomie del federalismo americano che assegna ai governi locali la responsabilità dell’ordine pubblico, è stata ancor più ritardata da due fattori. Il primo: gli abituali consigli di moderazione che gli arrivano, quasi sempre fuori luogo, da persone vicine a lui alla Casa Bianca e dai vertici del GOP in Senato. Il secondo: le dichiarazioni di non-interventismo messe avanti dai vertici del Pentagono e da ex generali, che hanno reso impossibile a Trump usare i militari per fermare la sedizione, perché troppo grande era il rischio che un suo ordine non fosse eseguito. Persino a Washington D.C., dove può farlo per dettato costituzionale, Trump ha dovuto usare con cautela, e per tempi brevi, la National Guard. Trump non ha fatto ricorso alla legge (Insurrection Act) che gli consente di far intervenire l’Esercito all’interno del paese per fermare disordini civili. Per almeno 4 settimane i media, i nemici, e i moderati impauriti vicino a lui, gli hanno legato le mani. Lentamente le cose sono cambiate, benché l’ordine pubblico e la gestione della polizia rimangano responsabilità di sindaci e governatori. Il 22 giugno a Washington arrivano 400 truppe disarmate della National Guard per difendere i monumenti federali da vandalismi. Il giorno dopo il ministro della Giustizia Barr comunica che l’FBI “sta investigando centinaia di persone in tutto il paese per i danni arrecati a negozi, edifici, monumenti, chiese”. Il 26 giugno un ordine esecutivo di Trump annuncia sanzioni penali per “chiunque danneggi, distrugga, profani un monumento, un memoriale, una statua, o compia vandalismi su proprietà del governo”. L’analisi che accompagna l’ordine è del tutto corretta, poiché si afferma che “gli atti criminali sono pianificati e supportati” e che “i governi locali hanno perso la capacità di distinguere tra esercizio delle libertà e vandalismo. Si sono arresi alla legge della teppa”. In quello stesso giorno Barr autorizza la formazione di una task force con agenti dell’FBI, per arrestare e perseguire “gli estremisti colpevoli di aver attaccato agenti di polizia, distrutto proprietà pubblica o privata, minacciato o leso cittadini indifesi”. Finalmente il potere federale esecutivo si mette in azione. Però in luglio, in città governate dai Democratici, gli atti di vandalismo proseguono. Fino a quando la polizia non potrà usare la forza necessaria per fermare la teppa, le violenze proseguiranno.
Benvenute sono proposte come quella del senatore Cruz (respinta dai Democratici alla Camera) di una legge che renda i governi locali responsabili di danni alla proprietà privata o a edifici federali, se dei danni è causa il ritiro della polizia. Benvenuto è l’invio, deciso da Trump il 18 luglio, di agenti federali della Homeland Security a Portland, città da anni divenuta un covo di Antifa e per settimane sconvolta da violenti disordini, e dove il sindaco (squilibrato o impaurito) si oppone all’intervento dei federali. Però quando il ministro della Homeland, Chad Wolf, dichiara che “non abbiamo bisogno dell’invito di sindaci e governatori per fare il nostro lavoro” – a Portland il lavoro della Homeland è la difesa del tribunale federale, preso d’assalto dalla teppa –, trovo che la dichiarazione sia tardiva. Nonostante la prudenza con cui si è mosso, Trump è investito da indecenti e spudorate accuse di sindaci e di leader Democratici in Congresso, che definiscono “azioni da Gestapo” l’intervento dei federali. Sono gli elettori di Portland, dell’Oregon e di ogni città e stato, a dover giudicare. Purtroppo i cattivi sindaci e governatori degli stati Democratici verranno rieletti, perché troppo consolidato è il vincolo delle politiche assistenziali e troppo avanzato è il cambio di popolazione ottenuto con un’immigrazione smodata. Mentre scrivo, è in corso un invio di agenti federali della Homeland, della CBP e dell’FBI a Chicago, a Seattle e in altre città. L’insurrezione protetta dal partito Democratico è organizzata, ben finanziata, armata fino a essere in grado di tendere imboscate alla polizia, senza armi da fuoco (che potrebbero giustificare un intervento federale su ampia scala) ma con oggetti letali e con pistole laser che a Portland hanno causato il gravissimo episodio, per quanto ne so finora impunito, di tre agenti puntati al viso da raggi laser, con danni non reversibili alla vista e forse la cecità.
Il sistema della democrazia americana è debole. Esso fu pensato per una società molto più omogenea. Esso non prevedeva che uno dei due partiti maggiori, il partito Democratico, fosse antiamericano. Né che alcune tra le maggiori società del paese, tra cui quelle che controllano i media e quelle di Internet, fossero allineate con la sinistra politica e condizionate dal timore di aggressioni da parte dell’estrema sinistra. Quanto ai Repubblicani, durante le recenti sommosse, e mentre il paese veniva lacerato, essi, come forza di governo che ha la maggioranza in Senato, erano assenti, a loro volta timorosi, a loro volta condizionati dai feticci costruiti con stereotipi sul confronto razziale. La loro moderazione e artefatta correttezza sono la prima arma che la teppa usa contro di loro. Il Senato continua a concedere fondi alle città-santuario, alle università dove si insegna l’estremismo antiamericano, a media anti-Trump (come la National Public Radio). La stessa BLM riceve indiretti fondi dal Congresso (oltre a quelli di Soros). Con alcune rilevanti eccezioni, i senatori Repubblicani hanno accettato il ricatto delle “proteste” e le sue false premesse, senza il coraggio di affermare che non di proteste si trattava, bensì di teppismo e di azioni per convincere il pubblico che l’America è fuori controllo.
Eppure, con tutti i loro difetti, solo i Repubblicani, insieme a Trump, possono salvare la nazione, non per loro virtù, ma perché sono l’unico centro di potere in grado di opporsi alla tirannia a cui le sommosse hanno dato un volto. Per farlo, i Repubblicani devono definire terrorismo interno le azioni di BLM, di Antifa e di chi li sostiene o li finanzia, e trattarle di conseguenza. Non c’è accordo possibile con i sindaci che pitturano le iniziali BLM sui selciati delle strade, o che consegnano le stazioni di polizia alla canaglia. La nazione è sotto attacco con modalità, a causa del sostegno mediatico, senza precedenti. La minaccia è estrema, la risposta non può essere debole. Tra i Repubblicani vi sono governatori, come quello del Massachusetts, che hanno deciso di alzare le braccia, di non combattere. Vi sono senatori che non perdono occasione per opporsi a Trump e alla sua agenda; e vi sono senatori al servizio del globalismo immigrazionista. Vi è un leader in Senato, McConnell, che nelle primarie in Kansas finanzia con fondi del GOP l’avversario di Kris Kobach, benché Kobach da due decenni sia uno migliori politici Repubblicani. Qualche voce afferma che l’establishment GOP guarda già a un dopo-Trump. Se questo è vero, il risultato sarà la perdita della maggioranza in Senato e il disastro su scala nazionale.
Come provano a fare Charlie Kirk nei campus, o Candice Owens tra gli elettori neri, o il senatore Tom Cotton quando denuncia le aggressioni cinesi, o i Congressmen Jim Jordan e Devin Nunes alla Camera quando denunciano le macchinazioni del colpo di stato contro Trump, altri Repubblicani devono rivolgersi alle giovani generazioni, cresciute con insufficiente istruzione. Ciò che consente a molti giovani di dichiararsi arrabbiati, o che consente agli studenti dei college di aderire ai falsi proclami di BLM, è quel Bill of Rights (Dichiarazione dei Diritti) che risale al 1791 e le statue dei cui autori essi deturpano. Le libertà conferite dalla Costituzione e dal Bill of Rights sono abusate. A BLM si è consentito di divenire la milizia operativa di un movimento ideologico incubato per decenni nei campus. A personaggi dello spettacolo o dello sport, talvolta neri, si consentono parole e azioni antiamericane, e accuse ipocrite a un sistema economico che li ha arricchiti oltre ogni limite giustificato. Gli amministratori delle università cambiano i nomi degli edifici, approvano la rimozione di statue, applicano quella cancel culture, cioè la pratica sociale del denigrare, che significa negare l’altrui libertà di espressione. La cancel culture propagata nel mondo dello spettacolo e delle TV rende la tirannia del pensiero una tendenza sociale, quasi una moda. Molti giovani vi trovano una giustificazione del loro sentirsi vittime, o di un possibile fallimento. Secondo Rush Limbaugh anche il virus di Wuhan è divenuto per i giovani una “scusa” (“cop out”) per cercare “rifugio e conforto nel sentirsi spaventati”, tanto più che un partito politico, il Democratico, dice loro: avete ragione a sentirvi vittime. Di certo la pandemia è lo strumento più pericoloso in mano ai Democratici per deviare il pubblico contro Trump, con falsi proclami come la richiesta di una legge che imponga l’uso delle maschere facciali su scala nazionale, e con il perverso progetto (già in atto nella California del sud) di chiudere di nuovo l’economia. I confini sono l’unica cosa che ai Democratici interessa di tenere aperta. Trump non ha alcuna responsabilità per la pandemia, al contrario ha operato con onestà e trasparenza; e, quando ha potuto farlo, con misure tempestive (come il blocco dei voli con la Cina), avversate dai suoi oppositori. Non fu così per un altro regalo cinese, “l’influenza suina” del 2009-2010, quando negli USA ci furono 50 milioni di contagiati e il governo Obama dopo pochi mesi mise fine ai test e al conseguente conteggio delle persone malate, nel silenzio mediatico. Ciò che i Democratici stanno facendo con la pandemia è disonesto ed è un tradimento. Però, per quanto ingiustificati siano nell’estate 2020 il ritorno di alcuni stati al lockdown e il progetto di non riaprire le scuole, la squadra di Trump deve reagire in modo accorto e strutturato.
La Storia dev’essere insegnata alle giovani generazioni, non cancellata. Oggi in America la sinistra e suoi intellettuali vorrebbero riportare in tribunale la schiavitù dei neri, e di nuovo combattere la Guerra Civile o le Guerre Indiane contro le tribù di nativi. Non la pensavano così Abraham Lincoln, o il generale Ulysses Grant (poi divenuto presidente). Alla fine della Guerra Civile, sul campo di battaglia Grant tese la mano al generale del Sud Robert Lee, gli disse che i soldati confederati potevano tornare a casa con la pistola al fianco e con il cavallo (se ancora ne avevano uno). Grant e Lincoln non volevano l’umiliazione dell’esercito confederato, che aveva combattuto con grande valore. Non ci fu castigo. Lincoln voleva unire di nuovo il paese e iniziare a integrare i 4 milioni di schiavi neri che vi erano nel 1860. Oggi i politici Democratici, i loro media, i loro professori con la cattedra garantita, gli attori e gli sportivi multimilionari e ipocriti, e le milizie di BLM e di Antifa, vogliono dividere il paese. Molto del veleno attuale emana da ideologie coltivate da 50 anni in università che ricevono fondi dal governo federale. College un tempo venerati sono divenuti un cattivo affare, oltre che la fonte di idee cattive. Voci tra i conservatori, da Mark Levin a Bill O’Reilly, da Tom Fitton a Ann Coulter, chiedono di tagliare i fondi alle università, e di togliere la cattedra a vita ai professori che predicano l’odio verso il paese e verso la società. Quelle voci chiedono anche di togliere il diritto ai sussidi federali, inclusi i prestiti per lo studio, agli studenti coinvolti nelle sommosse e nella profanazione di monumenti. Oltre agli studenti, gran parte dei facinorosi ricevono sussidi di varia entità. Come ricevono finanziamenti federali la National Football League (il calcio americano) o la Baseball League, tra i cui atleti vi sono vergognosi e impuniti gesti o dichiarazioni antiamericani. Di recente, in luglio, Trump ha chiesto al ministro del Tesoro di “riesaminare le esenzioni fiscali” e la concessione di fondi a scuole e università divenute sedi di indottrinamento, “se continua” la loro condotta di alterare la storia e l’eredità culturale americane. La spinta verso un cambiamento è molto apprezzabile, ma sarà difficile disfare decenni di tossici programmi scolastici e universitari. In ogni caso, come in materia di immigrazione, per modificare le leggi è necessario il Congresso. L’obiettivo dovrebbe essere di tenere l’odio antiamericano della sinistra fuori da scuole e università.
Nell’estate 2020, nel momento di massimo attacco all’America da parte del nemico interno, un faro a cui riferirsi è divenuto il discorso di Trump a Mount Rushmore in occasione dell’Independence Day, il 4 luglio. In quel discorso, senza enfasi, senza retorica, con parole semplici, Trump dice all’America che dietro gli attacchi alle statue e ai simboli della nazione, alla sua memoria storica, e dietro le aggressioni a cittadini indifesi, la posta in gioco è la civiltà occidentale. La sua denuncia ha una drammatica urgenza, quando egli afferma che le parole dell’estremismo di sinistra riguardo alla storia americana sono “una rete di menzogne”. Trump dice: “La nostra nazione sta assistendo a una campagna spietata per falsificare la nostra storia, diffamare i nostri eroi, cancellare i nostri valori e indottrinare i nostri figli. Una teppa rabbiosa vuole abbattere le statue dei nostri fondatori, deturpare i monumenti più sacri e scatenare il crimine violento nelle nostre città. Molte di queste persone non hanno idea di ciò che fanno, ma altri lo sanno benissimo”. L’obiettivo di questi ultimi è “distruggere l’America”. Vi è una tragica verità quando Trump afferma che “quanto accade è il risultato di cattiva istruzione”, che diviene “indottrinamento” in cui “agli studenti si insegna a odiare il nostro paese”. Trump descrive con precisione la piaga del cattivo insegnamento: “Contro le leggi della società e della natura, ai nostri figli si insegna che chi ha costruito il paese non fu un eroe ma una persona cattiva. La virtù viene oscurata, le motivazioni sono alterate, i fatti distorti, e ogni difetto è amplificato, costruendo una storia di falsità”. E la piaga coinvolge l’intera società: “Una delle armi politiche” dei nemici della nazione è “cancellare la cultura” altrui, dunque la denigrazione, fino a “allontanare le persone dal loro lavoro, calunniare chi dissente, e chiedere la totale sottomissione: il che è la definizione di totalitarismo”.
Che cosa possa seguire da un’analisi così corretta è meno certo. Se si tiene lontana dalle bugie del New York Times o della CNN e degli altri media anti-Trump e anti-americani, l’opinione pubblica deve comprendere a fondo il significato di quanto Trump afferma a Mount Rushmore: “Nelle nostre scuole, nelle redazioni dei giornali, persino nelle sale riunioni delle società” c’è un’ideologia che “richiede adesione assoluta. Se non parlate la sua lingua, non eseguite i suoi rituali, recitate le sue formule e seguite i suoi ordini, sarete censurati, banditi, iscritti in una lista nera, puniti”. Completo sostegno dovrebbe dare l’opinione pubblica all’appello di Trump: “È tempo di difendere l’integrità del paese. Come i nostri antenati, non ci faremo intimidire da persone cattive”. Purtroppo sappiamo che metà dell’opinione pubblica è sorda ed è portata ad accettare la cancel culture. Il che significa accettare la diffamazione del paese, benché dell’opposto vi sia necessità. Diffamazione significa offesa e perdita di unità. Può darsi che Trump scriva qualche tweet di troppo (peraltro potrebbe scrivere meno tweet se i media fornissero informazione reale). Inoltre egli, da sempre, concede interviste a giornalisti che gli sono nemici: è una sfida sulla cui utilità ho dubbi. E di certo nel suo primo mandato vi sono stati errori in nomine rilevanti e gravi ritardi su temi cruciali. Ma, al punto in cui siamo, solo Trump (con il GOP) può salvare la nazione americana e con essa la civiltà occidentale.
Nella campagna elettorale Trump può tenere come guida il discorso di Mount Rushmore, dunque la difesa delle tradizioni, dei valori e delle istituzioni. Può affermare che la guerra alla polizia significa lasciare le strade ai criminali. O che non ci si inginocchia in nome di messaggi falsi e portatori di odio. O che le macchinazioni della sinistra vanno combattute. Che la libertà e la verità vanno difese. In prima linea in tale difesa vi è il contenere le frodi elettorali a cui i Democratici sono pronti (la squadra di Biden ha arruolato 600 avvocati per portare in tribunale qualsiasi ostacolo al voto indebito). Il governo Trump dovrebbe, almeno, circoscrivere le frodi agli stati dove il controllo Democratico è totale. Tra quelle frodi vi sono il voto degli immigrati illegali, o il doppio voto in confusi quartieri urbani, o i 24 milioni di nomi a cui verranno mandate per posta le schede elettorali e a cui non corrispondono cittadini aventi diritto al voto, o residenti nel relativo stato, o viventi. Con il pretesto del pericolo di contagi, i Democratici impongono il voto per posta con gli stessi obiettivi con cui assecondano la violenza nelle strade.
Negli USA non siamo davanti a un disordine momentaneo, bensì a un disegno politico il cui scopo è il potere Democratico e con esso la fine dell’integrità nazionale. Ciò che accade nelle grandi città governate dai Democratici è la versione di strada, delegata alla canaglia, di ciò che per quattro anni i Democratici hanno portato avanti con i complotti anti-Trump, con i burocrati, con i residui della giustizia obamiana, con i giornalisti incompetenti o corrotti. Oltre a Trump, i suoi elettori sono la resistenza da abbattere. Essi devono accettare il privilegio Democratico nell’espressione del pensiero e nella gestione della giustizia. In alcuni ambiti, devono accettare il privilegio dei neri: nel welfare, o nell’impunità per il crimine urbano. Devono convincersi che opporsi al potere Democratico è inutile. Devono ritirarsi in un isolamento figurato o reale, e dimenticarsi della politica. Le elezioni del 2020 non sono Trump verso Joe Biden, che è un candidato finto. Sono, da una parte, Trump e la suprema necessità di non lasciare la presidenza e il Congresso ai Democratici; dall’altra parte la certezza, per gli americani che amano il loro paese, di perderlo, la falsità dell’informazione, il crimine di strada, il pensiero unico, la distruzione della società.
L’imperfetto Trump e il molto imperfetto GOP sono una barriera antifuoco tra la nazione e la tirannia, tra la nazione e i media o i sindaci e i governatori che celebrano BLM. I sindaci che dopo aver fatto delle loro città una terra desolata, dopo aver detto a Trump, con il sostegno dei media: “Non azzardarti a mandare i tuoi dannati militari a interrompere i nostri saccheggi e incendi”, adesso, di nuovo con il sostegno dei media e dei Democratici in Congresso, vogliono fondi federali da Trump per ricostruire le loro città. Solo gli americani onesti possono salvare il paese, mettere un argine ai soprusi, non cedere ai ricatti delle false ideologie. Lo possono fare se comprendono che il conflitto in corso non è definibile dalle parole: “L’America è diventata matta”. Se comprendono che, sul piano storico, la minaccia per il paese è quella di auto-immolarsi. Se comprendono che l’obiettivo del nemico interno è lo stesso del governo cinese, che per decenni ha derubato gli USA con il consenso dei governi USA e oggi, nel dopo-virus di Wuhan, vuole abbattere il potere americano. Soltanto in questo senso Joe Biden è un candidato significativo, perché pochi politici hanno assecondato la crescita del potere economico cinese, come ha fatto “China Joe”.