Blackout americano
Pubblichiamo l’intervento di Claudio Taddei, politologo, scrittore e collaboratore di diversi think thank, esperto di cose americane.
In vista delle elezioni USA una rete di inganni è opera di chi propaga false ideologie e calunnie. Di chi ha occupato l’istruzione e la falsifica. Di chi definisce informazione le notizie distorte o costruite con scopo malvagio. Di chi finanzia, supporta, protegge le sommosse di strada e gli attacchi a cittadini indifesi. Tutti costoro sono elettori Democratici. Anche la candidatura di Joe Biden alla presidenza è un inganno. I nemici di Trump sono, quasi sempre, nemici interni dell’America. Essi vogliono distruggere il paese etnico, storico, costituzionale. Diffondono veleno riguardo alla sua storia. Al suo legame con la fede e la religione. Essi si servono della teppa e lo fanno in nome della “giustizia sociale”. Usano intimidazioni e minacce verso aziende e grandi società, o verso i privati. Giustificano le aggressioni della canaglia. Hanno diffuso la pericolosa menzogna di una polizia “razzista”: accusa del tutto smentita dai dati reali. Denigrando la polizia e, nelle città da essi governati, riducendone le forze, hanno reso possibili violenze verso gli agenti di polizia da parte di Antifa e di BLM (Black Lives Matter). La “rete di menzogne” di cui ha parlato Trump nel recente discorso ai National Archives (il terzo di tre discorsi esemplari, dopo quello di Mount Rushmore del 4 luglio e quello che ha concluso la Convention Repubblicana) sta causando un blackout americano, che solo gli elettori possono interrompere. Nessuna minaccia verso la nazione americana (e, in misura variabile, verso la civiltà occidentale) fu così grande come quella attuale, dai tempi della Guerra Civile nell’Ottocento. Le elezioni del 2020 non riguardano le scelte umorali consentite dalla democrazia. Riguardano il futuro della nazione.
L’America delle sommosse non è “l’America di Trump”, a differenza di quanto affermano media malintenzionati. È l’America della coppia Harris-Biden e dei sindaci e dei governatori Democratici che hanno consentito per mesi i saccheggi, gli incendi, le violenze, e che hanno respinto l’offerta di Trump di un aiuto federale con l’invio della National Guard (aiuto richiesto soltanto a Minneapolis, dopo che il centro della città era stato distrutto, e a Kenosha, dopo gravissimi danni e soprusi). I professori che la sinistra ha gratificato di una cattedra, molti attori e attrici di Hollywood, personaggi della TV e sportivi troppo pagati, insieme ai media disonesti, hanno legittimato quanto avveniva. Lo scopo era ed è di accusare Trump. Nel sistema federale del governo USA, il presidente deve attendere che siano i governatori a chiedere l’aiuto. Egli può scavalcarli richiamando la legge detta Insurrection Act, a cui più volte in passato fecero ricorso i presidenti in occasione di disordini violenti. Quando Trump ha indicato che poteva usare l’Insurrection Act – cosa che, se il Cielo lo vuole, farà in futuro –, i Democratici e i loro media lo hanno accusato di “usare i militari” per sopprimere “proteste pacifiche”. Quando Trump a inizio giugno ha impiegato per qualche giorno la National Guard a Washington (nel District of Columbia, dove non vi è un governatore, la decisione è solo del presidente), ha ricevuto accuse insensate e vi sono state dichiarazioni fuori luogo persino dei vertici del Pentagono. L’utilizzo delle sommosse è studiato. Oggi la propaganda Democratica afferma: “Se votate per Trump, le vostre città continueranno a bruciare”. Questo è un ricatto che la nazione americana non può accettare. Dire: “O Biden-Harris, oppure non ci sarà pace”, significa concedere il governo alla canaglia. Il Democratico è divenuto il partito di Antifa e di BLM. Un partito antiamericano e anti-Costituzione.
A differenza dei cauti Repubblicani, per i Democratici il fine giustifica i mezzi. Il loro fine è per lo più ideologico; e l’ideologia diviene “un sostituto della religione” (William Barr). Oggi il partito Democratico è il referente di un progetto eversivo. Nell’avidità con cui inseguono il potere, i Democratici accettano anche la violenza e i soprusi di strada; e di fatto proteggono la canaglia. Durante la recente Convention del partito, nessuno ha parlato delle sommosse di Antifa e di BLM. Nessuno ha condannato i saccheggi, né le aggressioni ai bianchi in quanto tali, né le violenze contro gli ebrei e le sinagoghe. Il quadro è quello di un partito che si è consegnato all’estremismo di sinistra. I Democratici nascondono i loro programmi. Con il supporto di media disonesti, essi stanno distruggendo il sistema elettorale, come già hanno fatto in California. Progettano di distruggere la Corte Suprema con il metodo seguito per la Corte d’Appello di Washington, DC (la Corte più importante della nazione, dopo la Corte Suprema), dove hanno aggiunto tre giudici da loro nominati, ottenendovi così una maggioranza permanente. In Senato, con lo stesso scopo, vogliono aumentare il numero dei senatori. Usano l’impeachment come strumento politico. Tengono nascosto il loro manifesto di programma che, se realizzato, porterebbe a distruggere migliaia di piccole imprese in America; a distruggere la sanità privata (che riguarda 160 milioni di cittadini) e a concedere la sanità gratuita agli immigrati illegali; a finire di distruggere l’istruzione. E ancora: a controllare la libertà di espressione; a chiudere attività industriali e tornare alla dipendenza energetica (con il pretesto di azzerare le emissioni di anidride carbonica, benché questa non sia in sé un inquinante); a dare via libera alla supremazia economica e ai furti di tecnologia della Cina. Il loro manifesto programmatico di 110 pagine teorizza un’economia del welfare, con la dipendenza dal governo, con la crescita del debito federale e statale, e la riduzione delle libertà private. Ciò che viene tolto agli americani del paese profondo, cioè libertà e benessere, viene dato agli immigrati: servizi sociali gratuiti, e anche un avvocato che li garantisca se commettono reati.
Sul piano culturale l’obiettivo della sinistra americana è di alterare e condannare il retaggio storico del paese e sequestrare il futuro, con il controllo totale della società. La fede religiosa è derisa. Il guasto della famiglia viene incoraggiato e celebrato. Il sito di BLM indica come obiettivo primario la distruzione della famiglia tradizionale. L’istruzione è deviata in nome dell’indottrinamento. I media più diffusi, sempre più timorosi di divenire irrilevanti, partecipano al progetto di confusione culturale. Un politico poco lucido, Joe Biden, è un finto leader per mascherare l’assalto alle libertà. Per l’America il nemico è interno, e sconfiggerlo è molto più complicato che abbattere al-Qaeda o Isis. Il nemico è Antifa, BLM, e chiunque supporti o anche solo consenta le sommosse, gli incendi, i saccheggi, o gli attacchi alla storia e ai valori della nazione. Dunque anche i leader Democratici in Congresso, i sindaci o i governatori di Stato, o i procuratori e giudici che non perseguono e non tengono in galera i criminali. Tutti costoro, da anni, alimentano una situazione incendiaria: infiammabile quanto il legname e il sottobosco che hanno consegnato agli incendi negli Stati da essi governati.
I leader Democratici pensano che i gruppi estremisti potranno essere assimilati o comprati. In molte grandi società, dalla Camera di Commercio al mondo di Internet, amministratori vicini al partito Democratico firmano assegni a supporto degli eversori, nel timore di propaganda ostile e nella convinzione che il potere delle loro società non sarà intaccato. Molto attivi sono i faccendieri del demonio, come George Soros, che stanno spendendo grosse cifre per le elezioni del 2020: anche, secondo molto denunce, con fondi non dichiarati, dunque non legali. Come per i fondi neri in arrivo dalla Cina e da attività cinesi negli USA, voci credibili (tra cui Rudy Giuliani) chiedono l’intervento di esperti legali dell’FBI per trovare traccia dei fondi versati a BLM e Antifa: poiché fondi e persone si muovono tra gli Stati, il reato è federale e l’FBI potrebbe intervenire. Ma poco si muove un FBI il cui direttore, Wray, per tre anni ha nascosto i documenti interni relativi al complotto contro Trump e che oggi afferma di non conoscere esiti fraudolenti del voto postale: lo afferma nel giorno di fine settembre in cui a Filadelfia schede di militari con il voto per Trump vengono trovate tra la carta da buttare e in cui James O’Keefe pubblica, sul sito Project Veritas, audio e video in cui a Minneapolis attivisti contattano elettori, compilano la loro scheda in favore del locale congressman Democratico, raccolgono una firma e pagano (in un video, 200 dollari). Riguardo al caso Minneapolis, si può aggiungere che la raccolta del voto è illegale in Minnesota. Ma il procuratore di Stato (Attorney General) è un Democratico furiosamente partigiano (Keith Ellison, qualche anno fa inquisito per violenze domestiche). Con analogo intento partigiano vengono respinte dai procuratori Democratici in Nevada e in North Carolina i reclami della squadra di Trump riguardo alle nuove regole sul voto postale.
Il sito Free Beacon riferisce di una rete di finanziatori Democratici, per centinaia di milioni di dollari, sia per le elezioni congressuali sia per quella del presidente. Solo in Florida Bloomberg ha impegnato 100 milioni di dollari; Jeff Bezos 150 milioni solo in Pennsylvania e Michigan; Soros fino a 300 milioni in molti Stati; e, si afferma, il miliardario “verde” di San Francisco Tom Steyer ancora di più. Inoltre vi sono 400 milioni di dollari da piccoli donatori che si dichiarano “non occupati”, cioè senza un datore di lavoro: si ritiene che quest’assurdità potrebbe nascondere fondi cinesi. Di fronte a tali finanziamenti per i Democratici, o a quelli di Bill Gates, o di Google, o di Twitter, o del Big Pharma, o di Wall Street (come già avvenne con Hillary Clinton, Goldman Sachs e le grandi banche di New York, con deplorevole ostinazione, finanziano 5 volte di più la campagna di Biden che quella di Trump), di fronte a ciò le donazioni al GOP di miliardari come Sheldon Adelson o Charles Koch (che non finanzia la campagna di Trump) appaiono un innocuo e formale contributo. Per quanto riguarda in particolare la Florida, uno Stato dove la maggioranza può essere di poche migliaia di voti, Bloomberg ha impiegato oltre 16 milioni di dollari per pagare il debito, dovuto a sanzioni, di 31 mila detenuti, i quali di conseguenza avranno diritto al voto. Con il medesimo scopo sono arrivate donazioni per i carcerati da noti sportivi neri (Lebron James è il nome più noto). Il congressman del GOP Matt Gaetz afferma che si tratta di una violazione delle leggi e chiede un’indagine. Il voto dei carcerati viene comprato, e ciò si può definire corruzione. In ogni caso risalta il fatto che il partito Democratico non abbia timore di definirsi come il partito dei pregiudicati.
A fine agosto, quando già i consigli comunali (City Council) di 24 città governate dai Democratici hanno approvato il taglio dei fondi alla polizia, Trump prende l’importante decisione di ridurre i fondi (più esattamente: dà istruzioni a tutte le agenzie federali di trovare quali fondi possono essere fermati) alle città che hanno impedito alla polizia di intervenire nelle sommosse, e indica in modo esplicito quattro città in cui vi sono zone di illegalità: Portland, Seattle, New York, Washington DC. Come avvenne nel 2017, quando Trump e il suo primo ministro della Giustizia, Sessions, cercarono di tagliare i finanziamenti federali alle città-santuario che coltivano l’immigrazione illegale, così nel settembre 2020 la decisione di Trump va incontro a delibere avverse di giudici che fanno politica. A New York l’indegno sindaco De Blasio, il governatore Cuomo e il procuratore di Stato (Attorney General), che hanno consentito il degrado della città e il ritorno a un livello di criminalità che non si vedeva da un quarto di secolo, rispondono addirittura con minacce fisiche a Trump (“Stai attento a venire a New York, non ti basteranno le guardie del corpo”). In generale, la risposta della Giustizia USA alle sommosse è stata blanda e a mio giudizio inadeguata. Vi sono molti motivi per cui Trump e Barr non hanno fatto di più. L’esito delle elezioni e la Storia diranno se si è trattato di un tragico errore, oppure di temporanea tolleranza, favorita dalla iniziale confusione di giudizio critico e di informazione, in cui le sommosse ebbero avvio. In ogni caso, fino a settembre 2020, il DoJ (Department of Justice) ha in corso soltanto 200, circa, processi federali nei confronti di teppisti arrestati. Sappiamo che Barr e agenti dell’FBI cercano di rintracciare i responsabili di crimini, ma ciò avviene lentamente e tra ostacoli avanzati da avvocati e politici. Di recente Barr ha sollecitato i procuratori a processare i teppisti arrestati per “sedizione”, ma poiché le sommosse avvengono per lo più in Stati governati dai Democratici, che hanno procuratori ben poco interessati a difendere la legge e l’ordine, quasi mai l’invito di Barr è accolto.
Poco conosciuta, anche in America, è la gravità del tema dei procuratori eletti grazie al denaro soprattutto di George Soros. Procuratori che sono divenuti un elemento rilevante del progetto eversivo in corso e che tendono a non perseguire i criminali, ma piuttosto gli agenti di polizia. Già il modo in cui viene applicato il rilascio su cauzione significa che non vi è più cauzione in denaro, e ciò conforta i delinquenti di strada. In grandi città dove il crimine è radicato e dove le recenti accuse strumentali hanno reso più difficile il compito della polizia, dunque in città come St. Louis, Chicago, Filadelfia, New York, i procuratori sono stati eletti grazie ai fondi di Soros. Negli ultimi 4, 5 anni ciò è avvenuto anche per i procuratori di Stato in Arizona, Colorado, Florida, Georgia, Illinois, Missouri, New Mexico, Texas e Wisconsin. Di già in California o a Portland, Oregon, i procuratori proteggono autori di reati, oltre agli immigrati illegali. Negli ultimi mesi a Portland o a St. Louis oltre il 60% degli arrestati dalla polizia sono rimandati in strada senza processo. Le aggressioni di BLM rimangono al riparo di un concetto fraudolento, che le vite dei neri siano in pericolo per colpa della polizia o del “sistema”. Vi sono procuratori che giustificano i saccheggi. Un procuratore eletto da Soros in California (Diane Becton, nera) dichiara che il saccheggio non è punibile se il saccheggiatore ha necessità del bottino, e applica la regola nella sua contea, non avanzando accuse criminali verso la teppa di BLM. A New York il famigerato procuratore Cyrus Vance, che da quattro anni infrange le protezioni costituzionali nel tentativo di trovare irregolarità nelle attività fiscali di Trump prima della presidenza, dà istruzioni di accogliere le accuse nei confronti della polizia da parte dei teppisti arrestati e di non mettere questi ultimi a processo. Persino il Washington Post, la cui militanza anti-Trump non è in dubbio, scrive che nelle elezioni del 2018 Soros spese oltre due milioni di dollari per far eleggere tre procuratori nella Virginia del nord, e altri due milioni per nominare procuratore a Filadelfia l’avvocato Larry Krasner, che ha messo fuori di prigione decine di criminali. Troppi procuratori e troppi giudici si attengono all’incarico di sovrintendere alla sovversione e di garantirla. Per essi non vi sono conseguenze nel corrompere la legge e la convivenza sociale. Le conseguenze potrebbero venire soltanto da un’azione d’urto del ministro della Giustizia Barr. Ma non ne ha la forza il pur valido Barr, che siede su una poltrona dove negli anni di Obama sedeva Holder, uno dei massimi protettori di criminali e terroristi della storia giudiziaria americana. Barr ha dietro di sé una struttura (il Dipartimento Giustizia) di funzionari legati alla rete del potere Democratico. Ciò vale anche per i vertici dell’FBI, come hanno confermato le recenti rivelazioni sul complotto anti-Trump iniziato nel 2016, a confronto del quale il Watergate appare una modesta indisciplina, anche perché oggi, a differenza del Watergate, i media sono parte attiva del complotto. Un pericolo reale, anch’esso legato all’esito delle elezioni, è che, come dice Rudy Giuliani, il sistema di giustizia criminale degli USA venga distrutto. Di già nelle città governate dai Democratici l’attacco alla polizia è divenuto l’ultimo diritto acquisito.
Un messaggio positivo viene dalla Convention Repubblicana, dove il GOP di Trump è sembrato divenire sempre più un partito populista, vicino a chi lavora e a chi rispetta il paese. La conversione è benvenuta, perché il GOP rischia molto nelle elezioni per il Senato, pagando lentezze, sordità, tradimenti. Sulle elezioni per la Camera sono più ottimista, perché – pur considerando che i fattori locali sono spesso decisivi – mi sembra impossibile che la confusione della società arrivi al punto di confermare la maggioranza Democratica. Per il Senato sappiamo che quantità senza precedenti di denaro arrivano ai Democratici anche in Stati un tempo sicuri per il GOP (Texas, South Carolina, Arizona), mettendo in pericolo anche senatori molto noti (come Lindsey Graham). A troppi elettori non importa che i Democratici, uniti come un partito del socialismo reale, siano un sistema di potere avverso agli interessi della nazione. O che siano il partito dello status quo, che non vuole le riforme. Il primo tema su cui essi non vogliono riforme è l’immigrazione, perché confondere e dividere la società con l’immigrazione è uno strumento per controllare il potere. E quando Trump, come è accaduto nelle ultime settimane con il blocco dei fondi per città e Stati che supportano le sommosse (se tale decisione potrà superare le contese legali), o con l’ordine esecutivo che entro 60 giorni dovrebbe fermare i programmi di istruzione ideologica antiamericana nelle agenzie di governo, quando Trump attacca deformazioni in essere da decenni, la burocrazia del potere Democratico prova di tutto per fermarlo. In passato, nei momenti storici di grave crisi la nazione americana si unì intorno al presidente, come avvenne nella Seconda Guerra Mondiale, o dopo l’assassinio di John Kennedy, o nei momenti più difficili della Guerra Fredda. Nel 2020 invece, manipolando il tema della pandemia e aizzando le sommosse di strada, i Democratici vogliono dividere il paese. Cercano di rallentare l’economia con lockdown non giustificati (in California, a New York, in New Jersey, in Michigan), per poi prenderne il controllo con lo statalismo e le politiche assistenziali, con le regole burocratiche e le tasse. Essi usano le leggi di spesa per tre trilioni di dollari, destinate agli aiuti sociali nel dopo-pandemia, per inserirvi favori permanenti al loro elettorato. Fin dalle prime settimane della pandemia essi hanno messo in programma il voto per posta, senza identificazione di chi vota, allargando il progetto di cancellare l’integrità del sistema elettorale: il che, all’indomani delle elezioni, porterà a ogni tipo di controversia in molti Stati, con molteplici cause legali, e con l’obiettivo di far decidere le elezioni ai giudici e ai media.
Soltanto se Trump può arrivare alle elezioni difendendo nella maggior misura possibile l’integrità del voto e riducendo frodi elettorali, voto per posta e raccolta dei voti casa per casa, evitando che l’intero paese segua la California, dove i voti illegali hanno ridotto al minimo la presenza dei Repubblicani in Congresso. Se Trump in un secondo mandato può controllare il confine sud e fermare l’invasione immigratoria illegale, anche con massicce espulsioni. Se può contenere i numeri dell’immigrazione legale. Se per la Corte Suprema e per le Corti d’appello può proseguire nella scelta di giudici non legati all’ideologia di sinistra e immigrazionista, bensì ai valori della Costituzione. Se può correggere le storture del globalismo in materia di commerci e mercato del lavoro. Se può modificare le relazioni con la Cina. Se può proseguire nella ricerca della pace tramite la forza. Se può riportare la legge e l’ordine nelle città governate dai Democratici. Se può riportare l’economia americana ai livelli in cui era prima della pandemia. Se può comunicare a una maggioranza dell’opinione pubblica la verità sulla pandemia e sulle relative terapie o vaccini, e fermare le dilaganti menzogne. Se tutto questo e altro è possibile, allora un secondo mandato di Trump proseguirà nel modificare le conseguenze più deleterie della presidenza Obama e di quella di George W. Bush. I cittadini della classe media americana dovrebbero chiedere quel secondo mandato, se non vogliono che a rispondere, quando si chiama la polizia, sia un assistente sociale; o se non vogliono che la propria casa unifamiliare, costata molti sacrifici, sia giudicata un ”privilegio” e rimossa da un palazzone; o se non vogliono che i teppisti di Antifa o di BLM salgano sulle loro auto ferme al semaforo e considerino il loro portafogli un bottino legittimo.
I Democratici e i Repubblicani “mai-con-Trump” combattono un Trump che non esiste. Non sono in buona fede nel farlo. Hanno imposto di Trump un’immagine che non corrisponde al vero. Hanno nascosto la realtà di un Trump che lavora 20 ore al giorno per il suo paese. Che non prende un dollaro di stipendio, ma lo devolve a fini sociali. Che da quando è presidente ha visto il proprio business immobiliare perdere tre miliardi di dollari. Che ha portato lavoro, migliore istruzione e benessere alle comunità più povere, e in particolare ai neri (anche con fondi, che non era tenuto a firmare, per i cosiddetti “college storicamente neri”). Che al Department of Veteran Affairs ha cacciato la burocrazia che maltrattava i veterani e per la prima volta da 15 anni ha procurato ai veterani un’assistenza sanitaria adeguata. Che non ha iniziato guerre, e sta portando a casa truppe inviate in paesi lontani, con missioni insensate. Che ha concluso accordi commerciali finalmente equilibrati. Che è cauto. Che rispetta, più di altri presidenti, la Costituzione. Che ascolta le opinioni altrui. Che dopo improvvidi ritardi nei primi due anni ha accelerato il passo del cambiamento. Che può sbagliare (come avvenne nel 2017) nel rispondere alle provocazioni o concedersi troppo ai media ostili, però per istinto distingue il bene dal male. E che è anche combattivo, che reagisce alle aggressioni, da quelle dei procuratori d’assalto del Distretto Sud di New York a quelle del regime cinese.
Le sommosse di strada sono l’ultimo tentativo, in ordine di tempo, di rovesciare il governo Trump, dopo la falsa “collusione” russa, il falso impeachment e l’utilizzo menzognero della pandemia. I Democratici usano le sommosse come usano le delibere dei tribunali che fanno politica, cioè per bloccare l’agenda di Trump. I media non chiedono a Joe Biden risposte sulle tasse, sulla sanità gratuita estesa agli illegali, sul muro al confine con il Messico, sul ritorno alla dipendenza energetica, sul ripristino dell’accordo obamiano con l’Iran, sulla confisca delle armi, sulla distruzione dei quartieri residenziali: cioè sul programma Democratico. I media non parlano di Cina con Biden, il “China-Joe” che per decenni ha assecondato la crescita dell’invadenza e dei soprusi cinesi. A Biden i media consentono persino di minacciare il paese, quando egli dice: “Qualcuno crede che in America vi sarà meno violenza se Trump viene rieletto?”. Questa è una grave minaccia, suggerita a Biden da consiglieri che hanno fatto donazioni in denaro per portare fuori di prigione attivisti di BLM arrestati per aggressioni e reati. Joe Biden è il candidato di facciata dietro cui fermenta uno dei più velenosi progetti di abbattere la nazione storica. Il progetto politico dei Democratici è malsano. L’unica cosa che può risanarlo è una sconfitta elettorale di grosse proporzioni, che porti il partito dal 50 al 20%. Molto improbabile in ogni caso, e impossibile con il caos portato dal voto per posta e dalle frodi elettorali.
A 5 settimane dalle elezioni i Democratici parlano di contestare il risultato se Trump è vincente. I più diffusi media americani (dei maggiori media italiani è inutile dire, perché il modo in cui ripetono le menzogne è ripugnante) insinuano che Trump non accetterà una “pacifica transizione del potere”, mentre sono i Democratici a non aver ancora accettato la vittoria di Trump nel 2016 e mentre nel 2020 la consorteria al vertice Democratico prevede che Biden “non conceda in alcun caso”, anche se Trump fosse in vantaggio nei voti. Il New York Times scrive di “prepararsi alla guerra” se Biden non vince. La rivista The Atlantic scrive che saranno i militari a “portare” Biden alla Casa Bianca. Le milizie Democratiche pianificano la violenza nel dopo elezioni, con la divisione dei compiti che abbiamo visto applicata a Portland e altrove. Ambienti di potere Democratico minacciano la secessione della West Coast, se il risultato non è quello a loro gradito. Come per il colpo di stato anti-Trump degli anni 2016-2018, come per l’impeachment del 2019, come per le sommosse di strada del 2020, i Democratici vogliono riprendere tutto il potere con le minacce, con gli avvocati (il Democratico è il partito degli avvocati), con i giudici.
I media non ne parlano, ma in tutti gli Stati di esito elettorale incerto, dunque gli Stati decisivi, procuratori e giudici di Corti distrettuali al servizio del potere Democratico, oppure funzionari al vertice dell’esecutivo (il governatore, il segretario di Stato), stanno interferendo con un esito corretto delle elezioni. Per esempio in Colorado, secondo la TV CBS di Denver, con il consenso del segretario di Stato vengono inviate schede elettorali a immigrati illegali sollecitandoli a votare, mentre sui registri di voto dello Stato ci sono persone non più residenti o anche decedute. Purtroppo il Colorado, inflazionato dall’immigrazione, non è più uno Stato conteso. Ma in Pennsylvania, in Wisconsin, in Michigan, in Minnesota e in altri Stati decisivi, giudici (in Pennsylvania la cosiddetta Corte Suprema di Stato, dove 5 giudici su 7 sono di sinistra) e amministratori Democratici cambiano le leggi elettorali nel seguente modo: con la proroga di giorni o settimane della scadenza per votare o di quella per contare i voti; con il consentire la raccolta del voto casa per casa; con il deliberare che la firma sul voto per posta non è necessaria, oppure che il voto è valido anche se la firma non corrisponde a quella sui registri di voto; con il rendere possibile il voto degli immigrati illegali. Questa è frode legalizzata. Nel caos che ne seguirà, i Democratici intendono iniziare contese legali se il conteggio dei voti, in una contea o in uno Stato, è a loro sfavorevole; e in quelle contese avvalersi di giudici prevenuti (il che porterebbe decine di cause alla Corte Suprema federale). Negli USA le voci più credibili tra gli osservatori indicano che le modifiche alle leggi elettorali sono una violazione della Costituzione (Articolo 2) e che, se un risultato elettorale è contestato, soltanto i parlamenti di Stato hanno l’autorità costituzionale di certificare, secondo i migliori dati di cui dispongono, l’esito del voto. Né giudici o tribunali distrettuali, né i governatori, possono farlo.
Dunque sono i Repubblicani, che hanno la maggioranza nei parlamenti di Pennsylvania, Wisconsin, Michigan, North Carolina (in Minnesota il potere legislativo è diviso a metà), a dover agire con delibere vincolanti. Se ciò non avviene, il blackout americano può divenire permanente. Come le sommosse di Antifa e di BLM, la progettata confusione elettorale è un oltraggio meditato. Non tutti i leader Repubblicani sembrano comprendere di avere di fronte un nemico malvagio. Mentre la falsa e malvagia Harris loda la vivacità o la brillantezza (“brilliance”) di BLM, mentre Biden memorizza le battute da pronunciare nei dibattiti televisivi con Trump (sapendo che l’aiuto gli verrà da Chris Wallace e dagli altri moderatori, scelti da una Commissione che ci appare faziosa, perché l’indecente ruolo svolto da Chris Wallace nel primo dibattito era del tutto prevedibile), non i leader Repubblicani, bensì coloro che in America si usa definire “patrioti” sanno che devono vincere, oppure il loro paese cesserà di esistere. Lo devono ai molti di loro che sono morti per quel paese, o che subiscono ingiurie da giornalisti, avvocati, giocatori di basket e attori di Hollywood. Devono farlo anche se temono che non ci siano abbastanza “patrioti” per insorgere e resistere.