Cresce la penetrazione mafiosa nell’economia legale
Il report dell’Anac evidenzia che nel periodo 2014-2018 le imprese interdette a causa di infiltrazioni da parte della criminalità organizzata sono aumentate del 370%
Il fenomeno mafioso può essere letto sotto molteplici profili, dal punto di vista etico come da quello giuridico e criminologico. In questa temperie di caos geopolitico globale, tuttavia, ci sembra più utile approcciarlo secondo una metodologia che chiameremo di “analisi strutturale”, evocando e recuperando così, in qualche misura, la nozione marxiana di “struttura”. In altre parole, il focus va posto a livello del processo mondiale di accumulazione del capitale e, in particolare, dei suoi fattori propulsivi. Sono gli Stati, attraverso le leggi, a discriminare le attività lecite – che danno vita all’economia ufficiale e quindi legale – da quelle illecite o proibite – che invece fondano il mercato nero in tutte le sue sfumature e articolazioni. Apparentemente, si tratta di due universi paralleli che non dovrebbero incontrarsi mai. Invece, sussistono dei “buchi neri” (lavatrici del denaro sporco) che interconnettono le due dimensioni, alimentando flussi consistenti d’interscambio di risorse. In concreto, la ricchezza prodotta illegalmente viene così “ripulita” e fusa con quella creata dalle imprese regolari mediante un meccanismo di vasi comunicanti, nonostante gli sforzi profusi dalle forze di polizia per bloccare/interdire il processo. Si determina, di conseguenza, un paradosso: i proventi del crimine alimentano il Pil dei diversi Paesi, mentre i rispettivi Governi si affannano nel vano tentativo di stroncare le attività illecite, pur sapendo che senza quell’ingente apporto di risorse l’economia generale languirebbe, la disoccupazione crescerebbe e si allargherebbe l’area della povertà e dell’emarginazione. Quanto varrebbe, infatti, il Pil della Colombia o del Messico senza i proventi del narcotraffico?
Venendo al caso italiano, le conferme all’approccio proposto vengono da un recente report dell’Anac. Sono 2.044 le aziende destinatarie di interdittive antimafia fra il 2014 e il 2018, dati elaborati sulla base delle informazioni contenute nel Casellario informatico delle imprese. Nel periodo considerato si è registrata una crescita costante e generalizzata in ogni zona del Paese, passando dalle 122 interdittive del 2014 alle 573 del 2018 (un incremento pari al 370%). Nel complesso le aziende del Nord interdette sono quasi quadruplicate (da 31 a 116), quelle del Centro sono raddoppiate (da 16 a 34) e quelle con sede nel Mezzogiorno sono aumentate di oltre 5 volte (da 75 a 423). “Tali numeri – ha commentato Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità anticorruzione – sono sintomatici di quanto le organizzazioni criminali stiano infiltrando l’economia legale”.
Aldo Musci