Cannabis light in vendita? Sì, No, Ni
Una giurisprudenza complessa rende incerta la liceità degli esercizi che commercializzano prodotti derivati dalla canapa, sebbene a basso contenuto di principio attivo
La legalizzazione delle droghe leggere è un miraggio che non si avvera, sebbene sia cosa nota che il narcotraffico – spesso in sinergia con la tratta di esseri umani – costituisca la principale fonte di guadagno per le mafie transnazionali. L’Italia sarà mai pronta a scelte coraggiose? A causa dell’inguaribile conformismo e dell’ipocrisia della classe politica che la governa, non affronta problemi e fenomeni alla radice e con soluzioni radicali. Compromesso e contraddizioni i suoi indomabili numi tutelari. Guardate che groviglio normativo/giurisprudenziale disciplina, ad esempio, l’attività dei negozi che vendono surrogati di stupefacenti. A seguito della promulgazione della legge 242/2016 si sono sempre più diffusi esercizi che commercializzano prodotti derivati dalla canapa nella convinzione (tutta da validare) che ne sia stata depenalizzata la vendita, purchè aventi contenuto di principio attivo THC inferiore a 0,2 %. Tuttavia, il susseguirsi di una giurisprudenza complessa e talora contraddittoria sulla materia (cfr., ad esempio,la Sentenza n.56737 del 17 dicembre 2018 della Corte di Cassazione Sezione VI Penale e la Sentenza n.4920 del 31 gennaio 2019) ha posto gli enti locali in una situazione d’incertezza e difficoltà nel rapportarsi a tali negozi aperti al pubblico. In particolare, rileva in tal senso la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione penale del 10 luglio 2019 che, in un passo di particolare importanza, recita: “La commercializzazione al pubblico di cannabis sativa L. e, in particolare, di foglie, inflorescenze, olio, resina, ottenuti dalla coltivazione della predetta varietà di canapa, non rientra nell’ambito di applicabilità della legge n. 242 del 2016, che qualifica come lecita unicamente l’attività di coltivazione di canapa delle varietà ammesse e iscritte nel Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, ai sensi dell’art. 17 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002 e che elenca tassativamente i derivati dalla predetta coltivazione che possono essere commercializzati, sicché la cessione, la vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico dei derivati della coltivazione di cannabis sativa L., quali foglie, inflorescenze, olio, resina, sono condotte che integrano il reato di cui all’art. 73, d.P.R. n. 309/1990, anche a fronte del contenuto di THC inferiore ai valori indicati all’art. 4, commi 5 e 7, legge n. 242 del 2016, salvo che tali derivati siano, in concreto, privi di ogni efficacia drogante o psicotropa, secondo il principio di offensività”. Di qui la necessità di rivolgersi a studiosi esperti per ottenere delucidazioni sugli aspetti normativi e giurisprudenziali della questione.
Il loro auspicio è che giungano ulteriori pronunciamenti da parte del legislatore in grado di dare una soluzione definitiva alla querelle. In particolare, gli esperti richiamano l’ordinanza con la quale il Tribunale del riesame di Parma ha confermato pressochè integralmente il provvedimento di sequestro “probatorio” adottato dalla Procura della Repubblica di Parma in data 19 luglio 2019, nei confronti di diverse persone che detenevano per la vendita, ed effettivamente ponevano in vendita, confezioni della c.d. cannabis light. Tale pronuncia rimarcava, in effetti, la circostanza che, per scelta riferibile al legislatore, l’attuale panorama legislativo non consenta affatto una generalizzata commercializzazione della canapa (contrariamente a quanto assumevano alcune difese); ribadendo inoltre che il principio di diritto affermato dalle sezioni Unite della Cassazione è perentorio e non può lasciare spazio a dubbi, e ciò a prescindere dalla soglia del cosiddetto principio attivo, per cui la vendita di infiorescenze, olii e resine di cannabis, benchè light, si pone al di fuori delle maglie di liceità tracciate dalla normativa di cui alla legge 242/16.
Al termine dell’excursus, estremamente istruttivo, del farraginoso iter di regole e relative applicazioni interpretative che ha finora disciplinato la materia, gli esperti interpellati concludono: “In questo delicato e non composto quadro giurisprudenziale, è costretto a muoversi ancora con fatica l’operatore locale, pur essendo tutti consapevoli che, data la complessità della materia, sul punto sarebbe auspicabile un intervento del legislatore volto a fornire un’interpretazione chiarificatrice circa la portata applicativa della legge in questione. In tal modo si perverrebbe a stabilire in via definitiva se la normativa possa estendersi anche alla commercializzazione o se essa debba ritenersi limitata unicamente alla coltivazione. Altra possibile via potrebbe essere quella di intervenire – ma sempre con intervento governativo – sulle tabelle di cui al decreto n. 309 del 1990, al fine di stabilire quali siano le soglie di principio attivo al di sotto delle quali la sostanza non possa considerarsi drogante e dunque la cessione non possa ritenersi illecita”.
Raoul Mendoza