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Erosione e successi americani

30 Gennaio, 2020

Negli USA l’anno 2020 si apre con importanti successi del governo Trump, che rendono più salde le prospettive di prosperità, di pace e di stabilità globale, in sconcertante contrasto con l’erosione arrecata alla società da un’opposizione malsana che debilita le fondamenta della nazione americana, e indirettamente della civiltà occidentale.

Tra i successi, il più vistoso è la conclusione della prima fase di un accordo commerciale tra gli USA e la Cina. Nel gennaio 2020 vi è anche l’avvio, con l’approvazione in Congresso, dell’accordo commerciale concluso da Trump con Messico e Canada, per oltre un anno bloccato dalla dirigenza Democratica alla Camera. Sostituendo il difettoso NAFTA rimasto in vigore dagli anni Novanta, il nuovo accordo con Messico e Canada reca benefici a tutte e tre le nazioni coinvolte, per esempio richiedendo al Messico regole ambientali più efficienti o tagliando le non realistiche tariffe imposte dal Canada sui prodotti USA derivanti dal latte. In totale i due accordi, quello con la Cina e quello con Messico e Canada, che si aggiungono a quelli conclusi da Trump con il Giappone e con la Corea, riguardano circa tre trilioni di dollari l’anno di commercio globale: dunque le dimensioni del rinnovamento sono enormi.

L’accordo con la Cina, firmato a metà gennaio alla Casa Bianca da Trump e dal vice premier cinese Liu, è un landmark agreement, cioè una pietra miliare di portata storica, qualunque siano le riserve, alla luce delle infrazioni del passato, sul fatto che il governo cinese intenda davvero osservare alcune clausole dell’accordo. “Stiamo riparando i torti del passato”, dice Trump. Per oltre due decenni i governi USA hanno consentito alla Cina di saccheggiare l’economia americana con furti di tecnologia e con commerci sbilanciati da regole fiscali e ambientali divergenti, oltre che dai dazi cinesi, con la conseguente distruzione di milioni di posti lavoro e la chiusura di migliaia di fabbriche negli USA. Da quando nel 2001 la Cina entrò, con i relativi benefici, nel WTO (World Trade Organization), i deficit commerciali USA nei confronti di Pechino hanno raggiunto i 5 trilioni di dollari, con il conseguente trasferimento di ricchezza (come è avvenuto, in altre proporzioni, nei confronti di altri paesi dell’ex terzo mondo).

Lo strumento con cui Trump ha ottenuto la rettifica è quello delle tariffe, che alla loro introduzione, da inizio 2018 in poi, furono denigrate e irrise da noti economisti, dai media più diffusi e da tutti i ripetitori a servizio. Nel 2018 quegli stessi CEO e dirigenti delle maggiori società mondiali, che nel recente Forum di Davos ascoltavano attenti il discorso di Trump e cercavano di capire il “modello americano”, annunciarono che le tariffe di Trump avrebbero “distrutto i mercati”. Invece le tariffe hanno funzionato. Hanno imposto il negoziato al governo cinese e hanno obbligato l’economia cinese a guardare in faccia i propri squilibri. L’ortodossia aveva torto, Trump aveva ragione. La “fase 1” dell’accordo tra USA e Cina apre i mercati reciproci e offre a entrambi  i paesi rinnovate opportunità di crescita economica. L’idea di un commercio equilibrato può cambiare la struttura del commercio globale. Di già nel 2019, per effetto delle tariffe, il deficit commerciale USA con la Cina si è ridotto a 295 miliardi di dollari, dai 326 del 2018. Con la “fase 1” la Cina si impegna ad aumentare l’import dagli USA, in due anni, di 200 miliardi di dollari, di cui tra i 40 e i 50 miliardi di derrate agricole e 50 miliardi di gas e petrolio. La fame di grano e di energia della Cina ha forzato la mano del governo di Pechino.

Il governo cinese ottiene da Trump che non vengano introdotte nuove tariffe su 160 miliardi di dollari di export cinese (elettronica e merci di largo consumo). Ma, cosa molto importante, le tariffe del 15% già in essere su 250 miliardi di export dalla Cina rimangono in vigore, e i dazi su altri 120 miliardi vengono ridotti dal 15 al 7,5%, ma non cancellati. Trump conserva una leva decisiva per gli ulteriori negoziati. Cruciale è il tema delle verifiche. Lighthizer e Mnuchin, i principali negoziatori da parte USA, affermano che il meccanismo dei controlli, in quanto a rispetto degli accordi, è solido. Di certo gli acquisti cinesi sono verificabili. La parte difficile riguarda i furti cinesi di tecnologia negli USA. Il tema delle attività hacker che hanno origine in Cina è rimandato alla “fase 2“. Degli accordi di fine 2019 fa parte l’impegno del governo cinese a non autorizzare furti di proprietà intellettuale, dai brevetti civili ai programmi militari, e a mettere fine al trasferimento forzato di tecnologia per le imprese USA che operano in Cina. Lighthizer e Mnuchin affermano che clausole innovative dell’accordo proteggono la proprietà intellettuale USA (come potrebbe avvenire per quella europea, se i governi europei si adeguassero). Già l’accettare di discutere dei propri furti da parte del governo cinese è una vittoria del governo Trump. Ma il tema è sfuggente, i controlli sono difficili. Su altri temi, una clausola positiva degli accordi di fine 2019 riguarda le restrizioni imposte alla svalutazione della moneta a fini commerciali, che il governo di Pechino pratica da decenni.

Un altro vistoso e rilevante successo di Trump e della parte migliore della nazione americana a inizio 2020 è la sistemazione della crisi aperta dagli attacchi iraniani a obiettivi USA in Iraq. Non mi riferisco all’aver eliminato Soleimani: qui siamo davanti a qualcosa di più di un successo, perché si tratta di aver consegnato a giustizia colui che fu il principale mandante di orrendi crimini commessi in Iraq verso militari USA; la giustizia arriva con grave ritardo, 15 anni, ma infine arriva. Parlando di successo, mi riferisco alla prova di leadership che dà Trump dopo gli attacchi missilistici iraniani a una base USA, quando egli evita la ritorsione, evita la guerra già annunciata dai media, e però stringe, con nuove sanzioni, la morsa intorno al regime iraniano, mettendo in chiaro che la ritorsione può arrivare in qualsiasi momento e persino inducendo la burocrazia di Bruxelles a dare qualche segno di coscienza.

Invece, i segnali di erosione arrivano dalle vicende politiche e dalle realtà sociali in America. Vi sono dati positivi: il buon andamento economico; la riduzione della povertà, con marcato vantaggio per le minoranze etniche (con oltre 8 milioni di persone sollevate dalla necessità di richiedere i “buoni-pasto” federali, cioè dalla povertà); l’aumento dei salari (soprattutto quelli bassi, cresciuti in proporzione tre volte tanto quelli alti); i nuovi posti di lavoro (oltre sei milioni in tre anni); la prosperità recata dai rialzi del mercato azionario (nel gennaio 2020 l’indice Dow Jones supera i 29 mila punti, dopo essere rimasto intorno ai 16 mila dal 2012 al 2016); i progressi verso una sanità dai costi avvicinabili; l’attenzione verso la sanità dei veterani, non più umiliati da lunghe attese. Vi sono iniziative sociali, poco pubblicizzate, del governo Trump, come quella che concede ai dipendenti federali 12 settimane di congedo pagato per i genitori di bambini piccoli; o quella che rende più accessibili gli asili-nido; o quella che alza (cancellando il capital gain) il valore delle case popolari. Vi è la più determinata battaglia alla droga degli ultimi decenni. Vi sono positivi decreti di Trump, come quello che combatte l’antisemitismo nei college, o quello che protegge il “diritto alla preghiera” nelle scuole pubbliche (per evitare le pressioni, o addirittura le punizioni, su insegnanti e scolari che compiono gesti di fede come il segno della Croce).

Ma questi dati positivi, ed altri, non fermano il degrado sociale delle “città-santuario” (cioè rifugio di clandestini e piccoli criminali) e di interi stati controllati da sindaci e governatori Democratici, che applicano ideologie immigrazioniste e falsamente garantiste. A New York si giunge a mettere in libertà i criminali come esperimento sociale: la New York che il sindaco Giuliani, negli anni Novanta, aveva portato sotto controllo, e dove oggi il sindaco De Blasio e il governatore Cuomo inquinano la convivenza (Brooklyn, per esempio, era nei Novanta la Montmartre degli anni Trenta; oggi è pericolosa quanto il Bronx). I dati positivi non fermano il tribalismo della politica, l’erosione della classe media e dei suoi valori, la devastazione portata da decenni di confini aperti, i soprusi di giudici che deliberano al servizio dell’immigrazionismo e di teorie permissive. Soprattutto nelle grandi città – da New York alla California, dove l’immigrazione, il denaro di Hollywood e gli interessi mondialisti delle grandi società di Internet hanno consegnato il governo a politici che persino impediscono agli agenti federali di applicare le leggi –, l’America dell’immaginario collettivo non esiste più.

La tracotanza con cui sindaci e politici locali si oppongono al governo Trump va oltre i confini della legalità e rimane impunita a causa della protezione di magistrati al servizio di ideologie corrotte. È la stessa tracotanza impunita che ha consentito ai media più diffusi di imporre all’attenzione del pubblico vicende false come l’indagine Mueller o l’impeachment. L’attivismo dei giudici complici della turpe impresa conduce a erodere il Bill of Rights, cioè la Carta dei Diritti, che protegge le libertà individuali, come la libertà di espressione o il diritto a difendersi dalle accuse, anzitutto conoscendo gli accusatori e presentando una difesa: diritto negato a Trump, per oltre tre mesi, dalla dirigenza Democratica della Camera nella vicenda del falso impeachment. Il potere burocratico e amministrativo di chi conduce la guerra a Trump e ai suoi sostenitori è ampio e non rende conto del proprio operato.

La sorda o malvagia ostilità dei Democratici e la debolezza di alcuni senatori Repubblicani spiegano, ma non giustificano, il maggior insuccesso di Trump: i lenti progressi in tema di immigrazione illegale, e i mancati cambiamenti in tema di immigrazione legale. A inizio 2020 arrivano i dati ufficiali (forniti dalla Customs and Border Protection) degli ingressi illegali nel 2019: un milione e cento mila persone fermate sul confine con il Messico, di cui 125 mila nelle stazioni di entrata, gli altri sul confine o poco oltre. Oltre i due terzi di quelle persone sono state rilasciate e sono entrate negli USA formulando la richiesta di asilo, benché si tratti di migranti economici. Il Congresso non ha cambiato le leggi in materia. Trump non ha costruito sufficienti sezioni del muro, cioè della barriera di assi d’acciaio in grado di fermare l’invasione patrocinata dai Democratici. A inizio 2020 arrivano anche i dati riguardo ai sequestri nel 2019, sul confine sud, di droghe: si tratta di quantità paurose, tra cui 50 mila kg di cocaina e 1400 kg del mortale fentanyl. Di muro, ne sono stati costruiti circa 100 km in sostituzione delle inefficaci barriere esistenti, e circa 20 km di nuove barriere: l’obiettivo dei 560 km per fine 2020, di cui parla il governo Trump, appare fuori portata. Quanto all’immigrazione legale, restano in essere programmi fuori dalla realtà storica, privi di criteri di merito, incuranti degli effetti sulla società americana. Trump aveva promesso di cancellarli, ma non vi è riuscito.

A inizio 2020 l’erosione americana ha una lettera scarlatta sul volto: la “I” di impeachment. Trump è stato impeached dai Democratici alla Camera senza alcun fondamento e senza che verso di lui sia stata avanzata una sola accusa criminale o una sola delle accuse previste, in modo chiaro e ponderato, dalla Costituzione per giustificare un impeachment. Ciò non è mai accaduto nella storia del paese. Nel gennaio 2020 la procedura passa dalla Camera al Senato, che deve deliberare sulla consistenza dell’accusa (materialmente portata, nei corridoi del Congresso, da 8 Democratici in veste di procuratori, in una tetra processione di becchini abusivi). Raccogliendo confusamente il veleno dei più diffusi media americani, i media italiani affermano: “È iniziato il processo a Trump”; invece è iniziata la procedura costituzionale di giudizio del Senato sugli articoli di impeachmentpresentati dai Democratici. I quali, in Senato, provano ancora a prolungare la messa in scena chiedendo, sostenuti da media disonesti, di ascoltare nuovi “testimoni”. In realtà, poiché la soluzione di respingere subito l’impeachment in quanto infondato è resa impossibile dalla vaghezza di propositi di 4 o 5 senatori Repubblicani, il primo testimone che il Senato dovrebbe chiamare è il delatore (il whistleblower della telefonata tra Trump e il presidente ucraino Zelensky del luglio 2019) che, consigliato dal Democratico Schiff, aprì la denuncia nei confronti del presidente: il delatore che i media, pur conoscendone l’identità (Eric Ciaramella), sono riusciti a non portare in pubblico. Il Sesto Emendamento della Costituzione garantisce a un accusato il diritto di confrontare l’accusatore. In Senato gli avvocati del presidente possono presentare i loro argomenti, a differenza di quanto per mesi, vergognosamente, hanno imposto i dirigenti Democratici nelle Commissioni della Camera. Ma anche se interrogare il delatore sarebbe uno spettacolo da offrire al pubblico, svolgere un processo in Senato significa fornire all’impeachment dei Democratici una legittimazione che esso non ha. Chi dovrebbe essere sotto processo, per esempio, è Adam Schiff: ha mentito per anni sulla “collusione“ russa; ha montato con l’avvocato del delatore e con la Pelosi il corrotto attacco a Trump per la telefonata a Zelensky , di cui ha letto in Congresso una versione alterata; è un testimone nella falsa messa in scena dell’impeachment, non un procuratore dell’accusa. Interrogarlo sotto giuramento significherebbe intasare la sua congenita avversione alla verità. Si dovrebbe anche chiedergli conto delle condizioni di degrado del distretto di Los Angeles dove viene eletto. Come Nadler o la Pelosi (e altri politici), egli dovrebbe essere espulso dal Congresso per falsa testimonianza e tradimento. Ma poiché essi godono di molte immunità, soltanto gli elettori possono riuscirvi.

In America voci autorevoli affermano che il Senato deve preoccuparsi di non legittimare le accuse di “abuso di potere” e di “ostruzione del Congresso” avanzate dai Democratici: accuse inconsistenti e che non implicano un crimine. Oltre che del tutto non giustificate dalle azioni o dalle parole di Trump in relazione all’Ucraina, entrambe le accuse cadono alla luce della separazione dei poteri, da sempre riconosciuta. Il congressman Ratcliffe dice: “Ostruzione del Congresso è ciò che la Costituzione definisce separazione dei poteri”. L’abuso è nell’impeach un presidente senza fondate ragioni. Molto grande è l’esigenza di valutare i danni che una piccola maggioranza (come l’attuale) di un partito alla Camera può arrecare al sistema politico e alla nazione; dunque l’esigenza di iniziare un cammino costituzionale per impedire che ciò si ripeta. Con l’ostilità verso gli interessi nazionali e con la mancanza di fondamento nelle accuse che hanno consentito l’attuale messa in scena, di impeachment verso un presidente se ne può montare uno ogni tre mesi.

Vi è l’esigenza di comprendere le conseguenze del falso impeachment. Lo storico Victor Davis Hanson scrive: “Siamo giunti su un terreno anticostituzionale e difficilmente torneremo a regole accettate”. L’America della tradizione storica è sotto attacco. Di già la parzialità dei media aveva imposto la nuova normalità, dove l’informazione, come il mondo dello spettacolo o quello dei college, sono schierati con il partito Democratico. Con l’impeachment portato avanti da un solo partito (il che è in sé una violazione delle clausole costituzionali e dei precedenti storici), nuove regole possono divenire la norma. Per esempio, i colloqui telefonici del presidente con leader stranieri saranno oggetto (come quello tra Trump e Zelensky) di fughe di notizie e diverranno pubblici. L’impeachment, la cui possibilità fu definita con estrema attenzione dai Fondatori della nazione, diverrà un abituale strumento politico a uso dell’opposizione. Non sarà la conseguenza di documentati “tradimento, corruzione e altri crimini maggiori”, come previsto dalla Costituzione. Un’accusa risibile come “abuso di potere”, per la quale ogni presidente del passato poteva essere impeached, sarà sufficiente.

E ancora: la nomina di un procuratore speciale per indagare il presidente non dovrà più derivare dall’evidenza di un crimine. Sarà uno strumento politico per indebolire il potere esecutivo e impedirgli di agire. I vertici della Giustizia, dell’FBI  e della CIA potranno mettersi al servizio di un partito politico, come è avvenuto con la presidenza Obama; potranno mentire sotto giuramento in Congresso e restare impuniti; lasciato l’incarico, potranno entrare nella lista paga di reti televisive ostili al presidente e costruire versioni falsificate dei fatti. I delatori autorizzati (whistleblowers) non dovranno essere identificati, non porteranno la loro denuncia, come previsto dalla legge in materia, all’Ispettore dell’Intelligence, bensì a un politico (Ciaramella la portò a Schiff); ad essi non sarà richiesta informazione di prima mano e credibile, ed essi potranno lavorare con gli avvocati del partito di opposizione per formulare le accuse. Siamo dunque di fronte a un livello di corruzione che il potere esecutivo e la nazione non possono accettare e non devono tollerare. In Congresso, soltanto imponendo a un futuro presidente Democratico il trattamento imposto a Trump, i Repubblicani possono mettere le condizioni per una bipartisan revisione costituzionale dei limiti e della funzione dell’impeachment.

Tra le cause meno note dell’erosione americana vi il dominio del pensiero unico, che è un pensiero liberal cioè di sinistra, nelle università. Una sua manifestazione è il preteso progressismo iconoclasta che abbatte statue di personaggi storici, cancella il nome di quei personaggi da strade o edifici, e impedisce la diffusione di messaggi che non si adeguano all’ideologia permissiva e immigrazionista. Il successo di un progetto, o di un libro, dipende dall’adeguarsi agli obiettivi dell’ortodossia liberal. Dominio di un partito unico, il Democratico, negli stati più ricchi e popolosi significa che il pensiero liberal controlla scuole e università. Per trovare lavoro in un college come insegnante o amministratore, una qualifica richiesta è l’avversione al pensiero conservatore. La cattedra (il cosiddetto tenure) è una medaglia al merito per gli osservanti. Un professore può essere anche di qualità scadente, purché sia di sinistra. Se poi non è di pelle bianca, l’impiego è più facile. Se un insegnante conservatore si rifugia dietro lo schermo “vivi e lascia vivere”, ciò non lo salva da accuse di eterodossia. Chi fissa le regole in nome della “diversità” (obiettivo ridicolo nella società più “diversa” del pianeta) teme la diversità di pensiero.

La confusione culturale e sociale che limita la rivolta verso le inaccettabili azioni del partito Democratico a meno della metà del paese, e che dunque rende paurosa la possibilità di un prevalere dei Democratici in Congresso nelle elezioni del 2020 (per la presidenza è addirittura impensabile), ha tra le cause, al secondo posto dopo l’immigrazione, proprio l’istruzione finalizzata a scopi politici. L’indottrinamento dei giovani comincia nei licei e prosegue all’università. Formule e falsi stereotipi che condannano l’America e l’Occidente preparano in molti studenti un’atrofia incapace di volere la verità, con l’ostilità verso i valori dei loro padri e con la tendenza a considerarsi vittime, benché appartengano alla società più ricca, più indulgente e più tecnologica della storia. Nei campus americani (accade anche in Europa) ingratitudine e arroganza sono coltivate; ne derivano ostentato materialismo, avversione all’idea di costruire una famiglia, dileggio della religione; ignoranza riguardo alla storia americana e alla storia in genere; nella versione americana si aggiunge dipendenza dal debito.

Quando i giovani divengono adulti, per loro le fake news dei media si depositano su una base di ignoranza storica. Troppi professori universitari sono divenuti agenti di una confusione multiculturale così aggressiva da condurre ad attacchi fisici verso chi dissente. La confusione è preparata dai criteri di ammissione al college. Testimonianze credibili (Heather McDonald) riferiscono di quote discriminanti verso i giovani bianchi. Mentre i prestiti federali agli studenti vanno a pagare costi di istruzione che possono superare i 60 mila dollari l’anno, e mentre i finanziamenti federali alle università sono regali a istituti divenuti centri di indottrinamento, anche nella concessione delle borse di studio le quote razziali a garanzia dei “non-bianchi” hanno la precedenza sui criteri di merito. Fin dai licei troppi insegnanti tendono a denigrare le fondamenta storiche della nazione (un esempio sono le false e antistoriche teorie su un’America “fondata” sulla “schiavitù”, che invece era una pratica globale e non ebbe peso nel progetto del “nuovo inizio” americano). Quando si aggiunge la voce dei media e del mondo dello spettacolo, la libertà di giudizio si confonde e poi non esiste più: come avviene da oltre mezzo secolo anche in Italia, la mente di molti giovani diviene una lavagna su cui scrivere i teoremi della sinistra politica.

Claudio Taddei

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