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I tumulti di strada

13 Giugno, 2020

di Claudio Taddei, politologo, scrittore e collaboratore di diversi think thank, esperto di cose americane.

Vi sono due minacce alla possibilità per gli USA di rimanere una nazione libera e vitale. La prima è interna e viene da un partito Democratico che è in guerra con la nazione americana. La seconda è esterna e viene da possibili errori nella non più evitabile guerra fredda con la Cina. La prima è la più grave. Il partito politico più grande per finanze e adesioni, il Democratico, è divenuto un organismo eversivo, che per mantenere il potere usa la cospirazione illegale contro il presidente in carica, con la stessa impudenza con cui usa i delinquenti di strada durante le sommosse del maggio-giugno 2020. Tali sommosse sono le più gravi in America da quelle di Los Angeles del 1992: anche allora si trattava di un anno elettorale, al termine del quale Clinton divenne presidente. La scelta di eversione antiamericana dei Democratici dovrebbe divenire il tema principale delle elezioni nel novembre 2020; ma non accadrà, perché la copertura dei media impedisce la chiarezza. Da un quarto di secolo la sinistra politica in America ha un controllo quasi totale della società tramite i media, tramite l’istruzione media e superiore, il mondo dello spettacolo, i giudici. Tale controllo le consente di essere sempre all’attacco, di calunniare, di travisare, di mentire. Questa spaventosa realtà è andata in scena negli eventi che hanno avuto il punto di partenza nell’omicidio di un cittadino nero da parte di un poliziotto a Minneapolis. Su questo fatto di partenza non vi sono dissensi: un poliziotto, con la partecipazione di altri tre (e con la complicazione di una pregressa ostilità verso la vittima), ha compiuto un omicidio per il quale è stato subito arrestato. Almeno dalla cronaca, tutti sappiamo che negli USA gli episodi di brutalità della polizia sono possibili. Sono esecrabili. Ma sappiamo anche che la polizia svolge un lavoro enorme nel contenere le sacche di criminalità, soprattutto nelle grandi città. Nessuno meglio dell’ex sindaco di New York Giuliani conosce il tema, e Giuliani afferma: “Gli episodi di brutalità della polizia sono molto rari”. Dell’episodio di Minneapolis si è fatto subito un uso strumentale con lo scopo di attizzare la discordia razziale e poi di distorcere l’immagine del paese. Poche settimane prima vi era stato il caso analogo di un giovane bianco ucciso durante un fermo di polizia in Maryland, e non vi era stata alcuna pubblicità.

Già le affermazioni generalizzanti, subito ricavate dall’episodio di Minneapolis e stolidamente ripetute in Europa, sono fuorvianti. Gli episodi di violenza eccessiva e di soprusi compiuti dalla polizia negli USA sono una piaga da estirpare con un migliore addestramento; ma non è vero che la polizia abbia pregiudizi verso i neri. Dati ufficiali dell’FBI dicono che, per esempio nel 2018, 142 poliziotti sono uccisi in servizio, oltre il 60% dei quali da criminali neri sulla strada; in quello stesso anno, la polizia uccide 12 neri, quasi sempre durante fermi di strada; dunque lo sbilancio è a forte danno della polizia. Nel 2019 i neri uccisi dalla polizia sono 9, i bianchi 20. Migliaia di persone sono uccise ogni anno nei quartieri neri di Chicago sud, a New York, a Detroit, a St. Louis e in altre città. Il grado di criminalità in quei quartieri è una realtà di fatto. Secondo dati dell’FBI, a New York i neri sono il 25% della popolazione e commettono il 70% dei crimini. Questo è il motivo per cui la polizia ferma più neri che bianchi. Giuliani dice: “Le comunità dei neri sono le più difese dalla polizia. Questa è la verità, ma non puoi dirla.” Heather McDonald ha scritto che le comunità di neri onesti implorano di avere più polizia nei loro quartieri. Non vi sono dati che indichino un “razzismo sistemico” (termine ripetuto di continuo da settimane) verso i neri tra i poliziotti. Ciò non cambia il giudizio sull’omicidio compiuto da un poliziotto a Minneapolis a fine maggio. Come non lo cambia il fatto che la vittima avesse ripetuti precedenti penali, tra cui una rapina a mano armata nel 2007 per cui scontò anni di prigione.

Le legittime proteste per quell’episodio sono durate poche ore. Subito, con la complicità di pessime decisioni prese da sindaci e governatori di Stato, in città e Stati governati dai Democratici, si è giunti a sommosse organizzate, atti criminali, sedizione, violenze casuali o professionali di chi distruggeva negozi, saccheggiava, appiccava incendi, attaccava cittadini inermi. Mentre la feccia prendeva il controllo di interi quartieri, sindaci e procuratori di Stato e governatori ordinavano alla polizia di non intervenire e non chiedevano l’intervento della National Guard, cioè di una Riserva dell’Esercito delegata a evenienze di tale natura e di tale entità. Quando infine la Guard veniva convocata, ciò spesso avveniva con numero di truppe e incarichi ridotti. Davanti a questo grave tradimento dei loro doveri da parte di sindaci e governatori Democratici, il governo federale, cioè il presidente, è intervenuto con qualche giorno di ritardo, come vedremo. I tumulti che sconvolgevano oltre dieci grandi città americane erano favoriti dalla copertura dei maggiori media americani; “deliziavano” (secondo il termine usato dal Global Times, giornale ufficiale in lingua inglese del governo di Pechino, che partiva dalle sommosse per delineare uno schema di crollo degli USA); e venivano accolti con soddisfatti, tronfi commenti su molti media europei e in molti ambienti europei, che si coprivano di vergogna ripetendo stolti luoghi comuni, avvolgendosi di ignoranza e di veleno.

I tumulti di strada, i saccheggi, gli incendi, le violenze del maggio-giugno 2020 negli USA sono sommosse organizzate. Dimenticate l’omicidio del poliziotto cattivo, che passerà il resto della vita in carcere e in isolamento; e i suoi compagni avranno sorte poco diversa. Il suo crimine è stato solo l’occasione per sommosse condotte con tattiche di insurrezione e che, secondo notizie di stampa, il gruppo Antifa preparava da novembre 2019, in vista delle elezioni. Non sono “proteste”. Sono crimini: vetrine sfondate con pietre e mattoni, centinaia di negozi devastati, lancio di bombe molotov, pile di mattoni messi a disposizione dei facinorosi in contenitori agli angoli delle strade, depositi di vetri di bottiglia e sbarre di metallo scoperti nelle strade dei tumulti (fonte: Secret Service e Park Police di Washington), decine di auto della polizia bruciate, chiese incendiate, supermercati e negozi di abbigliamento o di scarpe o di cellulari saccheggiati, con il ripugnante spettacolo di chi ne esce con la merce rubata e sghignazzando. A Washington, monumenti storici vandalizzati (è inconcepibile che l’indegno sindaco, la nera Bowser, e il capo della polizia, per giorni di seguito non abbiano protetto il Mall) e la chiesa storica di St. John incendiata (la piccola chiesa di fronte alla Casa Bianca). A Filadelfia file di auto della polizia distrutte, mentre la polizia sta in disparte e guarda. A Chicago, a New York, a Los Angeles, a Dallas, a St. Louis, cittadini che provano a difendere il proprio negozio picchiati selvaggiamente, di solito da neri verso bianchi, ma anche da neri e bianchi verso neri indifesi. Persone trascinate fuori dalla propria auto e pestate. Tre poliziotti assassinati (tra cui un capitano nero in pensione, che difendeva dal saccheggio un banco dei pegni) e centinaia di poliziotti feriti. A Richmond teppisti neri incendiano una casa al cui interno vi è un bambino e poi impediscono ai pompieri di avvicinarsi.

Siamo davanti ad attacchi organizzati da gruppi noti e ben finanziati come Antifa e Black Lives Matter. I loro membri sono identificati, anche se non hanno la tessera. Essi teorizzano la violenza, i saccheggi, la sommossa organizzata. Antifa ancora non viene definito in via ufficiale un gruppo di terrorismo interno, benché lo sia e da circa 15 anni conduca attività sediziose. Al seguito di quei gruppi, la canaglia di quartiere saccheggia, ruba, distrugge, e viene pagata per farlo. Laura Ingraham ha raccolto testimonianze, anche con documenti video, di persone pagate (a quanto sembra, fino a 200 dollari) per partecipare alle sommosse, e anche portate da una città all’altra. Nomi noti della finanza e della politica, da George Soros all’ex ministro della Giustizia di Obama, Holder, giustificano le sommosse. La leadership dei Democratici in Congresso non le condanna. La Pelosi va in strada tra la canaglia. Obama parla di proteste “ispirate”. Lo staff di Biden contribuisce al ricco fondo in denaro, iniziato da personaggi dello spettacolo, per liberare su cauzione i facinorosi arrestati; oltre 4 mila vengono rilasciati.

Tutte le città coinvolte nelle sommosse sono governate da Democratici, e quasi tutte si trovano in Stati a governo Democratico (eccezioni: St. Louis in Missouri, Dallas e Houston in Texas). Sono tutte città dove da decenni vi è il governo di un solo partito. Democratici sono i procuratori di Stato che fanno uscire di prigione i teppisti; Democratici sono i sindaci che con il favorire le sommosse esibiscono la loro incompetenza e la loro brutta ideologia. Da molti anni le grandi città sono il teatro del caos americano, e vogliono imporre la piaga al resto della nazione. Le decisioni prese in tali città da sindaci, procuratori di Stato e capi della polizia, e le decisioni dei governatori Democratici (a Chicago, a New York, a Detroit, a Los Angeles e altrove) di non intervenire per frenare le sommosse, di ordinare alla polizia di restare in disparte e dunque di non proteggere i loro cittadini, sono responsabili di quanto è accaduto. Da Seattle a Dallas, da Filadelfia a New York, le istruzioni date alla polizia hanno significato che la proprietà non veniva difesa e che le violenze organizzate non avevano freni. L’abbietto disinteresse di sindaci e governatori per l’incolumità dei cittadini e degli stessi poliziotti ha reso possibili le sommosse. Essi dovrebbero essere destituiti e processati. Ma poiché si parla di città e stati a partito unico, ciò non accadrà. Il sindaco di Washington ha consegnato la città ai facinorosi. Il sindaco di Minneapolis ha addirittura consegnato una stazione di polizia all’incendio e al saccheggio. Il capo della polizia di Raleigh ha dichiarato che difendere le proprietà dei cittadini non era la priorità. Il sindaco di New York ha lasciato che la città divenisse un girone infernale di violenze, di soprusi, di caos, benché la polizia di New York e l’ex sindaco Giuliani avessero indicato i modi per evitarlo. Violenze coordinate, saccheggi, poliziotti feriti e uccisi, sono terrorismo interno. A quei sindaci o procuratori, ad altri politici e giudici, il terrorismo interno non dispiace. Al disegno politico si aggiunge la mancanza di integrità.

Dunque la responsabilità del via libera alla sedizione è dei governi locali, di città e Stati che hanno ordinato alla polizia di restare in disparte e hanno chiesto troppo tardi l’intervento della National Guard. A Minneapolis la Guard viene chiamata con 3 o 4 giorni di ritardo, e quando arriva e mette fine ai disordini, la città appare uscita da una guerra urbana. In altre città il numero di truppe richiesto è esiguo, oppure (New York, Filadelfia) la Guard non viene impiegata, perché lo spettacolo dei delinquenti che distruggono le vetrine con i mattoni deve continuare. E qui vengo all’unico tema che sembra interessare il pubblico: Trump e il rapporto tra le sommosse e le elezioni di novembre. Ora, il dettato costituzionale è che siano i governi di Stato a schierare la National Guard e che il presidente debba avere l’approvazione di quei governi per inviare truppe militari. Tuttavia studiosi di quel dettato (Andrew McCarthy) e i precedenti storici indicano che davanti a sedizioni organizzate il governo federale può prendere l’iniziativa. Nei giorni più critici della sedizione, osservatori credibili affermavano che la soluzione migliore per mettere fine ai saccheggi, agli incendi, alla distruzione di proprietà privata e di chiese, era di “federalizzare” la National Guard; il passo successivo è l’impiego dell’Esercito. Quando un presidente entra in carica, egli giura: “Giuro di difendere la Costituzione contro tutti i nemici, all’estero e in patria”. Nei giorni critici Trump ha sollecitato dagli Stati l’impiego della National Guard (le sommosse hanno avuto inizio il 28 maggio), ma non lo ha ordinato. A me è sembrato un eccesso di moderazione. Ancora una volta le voci, vicine a lui, che gli consigliano cautela lo hanno condizionato. Chi odia e combatte Trump, lo fa perché egli è una presenza forte e ostacola i loro piani. Trump non può rinunciare a un ruolo di forza, pena il decadere della sua presidenza. Peraltro si potrà sostenere che l’evoluzione verso la non-violenza delle manifestazioni, a partire dal week end del 6-7 giugno, dia ragione alle scelte di Trump.

Qualunque cosa faccia o dica, Trump deve guardarsi dalle reazioni dei media. Durante le sommosse, una volta di più i media che diffondono falsità si dimostrano, come egli dice, “il nemico del popolo”. Fin dall’inizio le sue parole sono travisate. Tutti i giornali del mondo hanno scritto che Trump invitava a sparare, poiché all’inizio delle sommosse egli aveva detto che “i saccheggi hanno come conseguenza che ci si mette a sparare” (“Looting leads to shooting”), come infatti è accaduto, con 3 poliziotti uccisi e decine feriti da armi da fuoco. Tutti i giornali del mondo hanno scritto che voleva mandare i cani contro i dimostranti, il che è falso. O che ha chiesto l’impiego dei gas lacrimogeni davanti alla Casa Bianca, altra falsità (benché l’uso dei gas lacrimogeni a me sembri adeguato per fermare i teppisti). O che è un “dittatore” (termine usato dai maggiori media americani) perché ha menzionato il possibile uso dei militari in servizio attivo. Nell’ipocrisia dei media vi è volontà di disinformazione, risentimento, malvagità, ignoranza. Le manifestazioni davanti alla Casa Bianca, organizzate senza badare a spese, venivano riportate con esultanza. Ma esse non avevano giustificazione: dopo l’omicidio compiuto dal cattivo poliziotto a Minneapolis, Trump ha condannato il fatto, ha sempre parlato in tono conciliante e ha coinvolto subito l’FBI e il DoJ (la Giustizia) nelle indagini, benché non fosse obbligo del governo federale.

Il presidente ha l’autorità di impiegare i militari in caso di sommosse. La legge (Insurrection Act, 1807) afferma che egli ha il potere di “schierare l’Esercito e le truppe della National Guard all’interno degli USA in circostanze come disordini civili e insurrezione”. Per quanto riguarda l’Esercito, l’impiego non è semplice perché i militari USA non sono addestrati come forza di polizia e il controllo delle sommosse non è il loro lavoro. Però essi hanno operato come forza di polizia in Iraq dal 2003 al 2008 e in Afghanistan dal 2002 a oggi, esponendosi ad aggressioni e perdite non dovute. I media propagano la nozione che l’utilizzo dell’Esercito sarebbe un atto dittatoriale perché i media sono la macchina di propaganda del partito Democratico. Dalla presidenza Wilson in poi, dunque negli ultimi 110 anni, i militari furono usati all’interno più volte, da Truman, da Eisenhower, da Bush padre per le sommosse di Los Angeles del 1992, da Bush figlio dopo l’11 settembre. Ciò che nel 2020 è diverso dai casi precedenti, è che la polizia aveva ordine di non agire, e dunque l’Esercito avrebbe dovuto sostituirsi alla polizia, non solo supportarla.

La sera del primo giugno Trump parla di “atti di terrorismo interno” e chiede ai governatori di Stato di schierare la National Guard in numeri sufficienti a “prendere il controllo delle strade”. In quel momento vi sono già 3 o 4 giorni di ritardo. Trump parla anche di definire Antifa come un “gruppo terrorista”; qui il ritardo è di quasi due anni, perché le azioni di Antifa nell’estate 2018 a Portland erano “atti di terrorismo interno”. Il primo giugno il ministro della Giustizia Barr dichiara: “La violenza istigata e compiuta da Antifa e altri gruppi simili nel corso delle sommosse è terrorismo interno e verrà trattata di conseguenza”. Ma, ad eccezione della presenza della National Guard a Washington, a Dallas e in alcune altre città, le conseguenze non sono visibili. Barr prospetta anche di rendere pubbliche le comunicazioni di Antifa e di Black Lives Matter con politici, avvocati e finanziatori, ma ciò non avviene. Nella confusione mediatica si disperde la denuncia del Consigliere per la Sicurezza O’Brien e del senatore Rubio, secondo cui sui social media messaggi originati in Cina istigano i facinorosi. I quali, anche a distanza di giorni, possono essere identificati e fermati dalla polizia. Ma, incredibilmente, da New York a Los Angeles e altrove, centinaia di arrestati vengono subito rimessi in strada.

In un vortice di costanti calunnie, Trump viene attaccato per ciò che accade in città governate da mezzo secolo e più dai Democratici, e in Stati dove i Democratici controllano tutta la burocrazia e la stessa polizia. La risposta di Trump alle sommosse è stata cauta. Quale sia il risvolto elettorale della cautela, lo vedremo. Molti cittadini americani possono pensare che quella risposta sia stata debole. Ciò su cui non può esservi dubbio è l’infernale sarabanda di bugie e di finta virtù che ha circondato le vicende. Personaggi malvagi del giornalismo TV e di Hollywood, professori nascosti dietro le loro cattedre, finanzieri di sinistra chiusi nei loro uffici di finto splendore, personaggi dello sport che l’America “cattiva” e bianca ha coperto di dollari, hanno attizzato le fiamme. I leader Democratici non hanno condannato le violenze. La CNN o la NBC hanno sostenuto le sommosse con analisi distorte. La proprietà dei media più diffusi ha silenziato le voci che non si adeguavano. Il New York Times addirittura censura un articolo del senatore Tom Cotton. Come è d’uso, i social media versano sordido combustibile sul rogo della verità. Twitter oscura i tweet di Trump, ma su Twitter compaiono appelli alla violenza contro la polizia.

A partire dal week-end del 6-7 giugno, assistiamo a un cambio di tattica della “protesta”, che vuole presentarsi come “pacifica”: dall’insurrezione alle passeggiate di massa, che sembrano celebrare, in Stati che spesso sono ancora in lockdown (e dove, come dice Tom Cotton, “non era possibile aprire un negozio, però era possibile saccheggiarlo”), il ritrovato piacere degli assembramenti. Il collante rimane il pregiudizio ideologico e la tendenziale prevaricazione, la stessa che a New York e in altre città costringe i passanti a inginocchiarsi per chiedere perdono di essere bianchi. Le rinnovate marce senza violenza apparente hanno l’obiettivo dichiarato dal sindaco di Washington: togliere i fondi alla polizia. Se la canaglia che rimane presente in quelle marce ottiene di distruggere la linea di difesa costituita dalla polizia, la strada è sua. E distruggere il sistema di difesa della società significa, tanto più in un paese con molte armi, il passaggio alla guerra civile.

Qual è l’affinità tra i teppisti e il partito Democratico? I politici Democratici hanno mantenuto il silenzio riguardo ai saccheggi, agli incendi, alle violenze di strada. Nei tumulti e negli attacchi alla polizia, i Democratici vedono un’altra occasione per raccogliere consensi: la prosecuzione con altri mezzi della chiusura di attività che popolosi Stati Democratici continuano a imporre nel dopo-pandemia. Dopo aver indebolito per un decennio la Difesa, i Democratici danno corso alla guerra contro la polizia, teorizzata da tempo. Del loro programma fa parte “tagliare i fondi” alla polizia. Il sindaco di Los Angeles annuncia che alla polizia verranno ridotti i fondi; e chi è andato oltre Beverly Hills può immaginare che cosa accadrà in quella città. Il senatore di New York Schumer afferma: “Sono orgoglioso delle proteste nella mia città” e non denuncia il progetto del sindaco De Blasio di spostare verso “i servizi sociali” i fondi per la polizia di New York (che detesta il sindaco e in occasioni in cui egli ha parlato ai poliziotti, questi gli hanno voltato le spalle). Altri politici di New York sostengono la raccolta di fondi per far uscire di prigione una donna che ha gettato una bomba molotov su una macchina della polizia. A New York fino al 6 giugno vi sono un poliziotto ucciso e circa 200 feriti, e il sindaco, il governatore, i senatori Democratici tacciono. Eppure, anche solo a New York, quante vite vengono protette e salvate dalla polizia ogni giorno, ogni mese, ogni anno? Negli ultimi due giorni di maggio a Washington decine di agenti, anche del Secret Service, vengono ricoverati in ospedale per ferite alla testa da lancio di lastrico divelto dalle strade con apposito piede di porco fornito dagli organizzatori. Il primo giugno, quando a Washington viene schierata la National Guard, l’ex presidente Bush, o l’ex ministro della Difesa Mattis, o il senatore Romney, parlano (stoltamente, o peggio) di uso eccessivo della forza.

Il nero ucciso da un poliziotto a Minneapolis non è il martire di una causa. È la vittima di una violenza. Ma una vittima è anche il capitano nero di polizia ucciso a St. Louis da teppisti neri: per la sua morte non ci sono proteste globali. Obama, che ha interrotto le attività di arricchimento per parlare molto e per distrarre dal suo ruolo nella cospirazione contro Trump iniziata nel 2016, ripete: andate a votare, votate Democratico. Ma chiedete ai cittadini onesti di Minneapolis, di Chicago, di Filadelfia, di Los Angeles e così via, come è andata con il votare Democratico. Anziché denunciare gli episodi di terrorismo interno, le reti TV parlano di “razzismo sistematico” tra la polizia. Razzismo che i dati smentiscono: ma se vi fosse, ciò accadrebbe in città e dipartimenti di polizia che i Democratici controllano da decenni, o accadrebbe dopo che vi è stato un presidente nero per 8 anni, con due ministri della Giustizia e un ministro della Homeland anch’essi neri. Le bugie dei media servono a proseguire le sommosse, come servivano a proseguire il lockdown. Il sindaco di Minneapolis che si inginocchia piangendo, vero pagliaccio, accanto alla bara del nero ucciso in città da un poliziotto è l’immagine ipocrita e direi grottesca dell’impostura che grava sulla nazione.

Da Antifa ai politici che assecondano i facinorosi, in molti vogliono trascinare il paese verso il basso. Per 7-8 giorni la teppa ha avuto il controllo di troppe città americane. La feccia della società ha ricevuto tolleranza e consensi. Non è vero che il poliziotto cattivo di Minneapolis, che tutto il paese ha condannato, “riflette l’America”, come media malintenzionati hanno affermato. Per alcuni giorni è stata la canaglia a rappresentare l’America. Gli USA sono un paese tollerante e non razzista: di certo il meno razzista tra le nazioni più grandi (basti pensare al marcato razzismo, di regime ma in parte anche di popolo, della Cina; o al radicato razzismo russo). Negli USA non c’è “razzismo sistematico” nella polizia, o negli uffici, o nello sport, né altrove. Ben pochi paesi accettano la diversità etnica e la libertà di tutti, come gli USA; ben poche società praticano così tanto la beneficienza e la carità. I politici Democratici pensano che convincere del contrario sia di aiuto per loro nei cicli elettorali. Sono disposti a debilitare il paese, anche a distruggerlo, come le scuole e le università che essi controllano hanno fatto con l’istruzione: quando a un giovane si insegna che l’America è razzista, quel giovane potrà diventare un teppista che lancia frammenti di lastrico contro la polizia. È un percorso che non è cominciato quest’anno, o il precedente, bensì negli anni Sessanta del Novecento. A fine maggio e giugno 2020, ciò a cui abbiamo assistito per troppi giorni non è “protesta”. È guerra contro la nazione, una guerra gestita da generali molto cattivi, con i miserabili come fanteria. Bruciare le chiese, saccheggiare, diffamare la polizia? La civiltà deve difendersi, quando è in pericolo. Se gli USA cedono, l’Occidente perde la principale difesa contro la patologia che lo divora. Per alcune settimane l’Occidente ha vissuto non “la stagione del nostro scontento”, come scriveva Steinbeck, ma la drammatica gestione dell’impostura e dell’autolesione.

Claudio Taddei

 

 

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