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Il 20  luglio l’Europa ha finalmente battuto un colpo!

28 Luglio, 2020

Pubblichiamo un intervento di Maria Baroni, esperta nella gestione di progetti comunitari e accreditata per anni presso la Commissione di Bruxelles, sul futuro della Ue dopo la pandemia

Dopo l’elezione della Von Der Leyen  alla guida della Commissione europea con la sua relazione di insediamento sull’esigenza di un’Europa più solidale, giusta e verde, le altre istituzioni europee non avevano dato l’impressione di voler seguire con lo stesso entusiasmo quell’impronta di generosa collaborazione tra gli Stati verso un promettente futuro che Ursula aveva tracciato. E’ vero, l’elezione dell’ex ministra tedesca alla guida della Commissione aveva significato la sconfitta dell’ondata sovranista, populista e financo scissionista che era andata montando in Europa negli ultimi anni, quell’onda anomala che aveva talmente minato il prestigio delle istituzioni europee da culminare nell’inesorabile uscita del Regno Unito. Ciò nonostante, tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020, le trattative sul nuovo bilancio dell’UE per il prossimo settennio erano a una fase di stallo, con la più parte  dei paesi membri, almeno quelli meno prosperi, alle prese con l’interminabile crisi economica che ci tormenta dal 2009 e impegnati nel solito braccio di ferro con le opposizioni  interne, per niente orientati ad accettare qualunque proposta presentasse nuovi rigori sui propri bilanci per alimentare le politiche comuni dell’UE.

La pandemia, poi, aveva visto ogni paese preferire un “fai da te” nelle misure di contenimento del virus, nelle aperture o chiusure delle frontiere, nel lockdown delle attività economiche e persino nell’approvvigionamento  dei dispositivi sanitari urgenti  e indispensabili (es. mascherine e ventilatori per terapia intensiva), fino quasi a negarseli vicendevolmente….con buona pace del sentire comune e dello spirito di solidarietà! Ma la brava signora Von Der Leyen e la sua Commissione hanno lavorato sodo e hanno confezionato una serie di strumenti finanziari a base di prestiti e sovvenzioni in grado di dare sollievo alle economie dei paesi europei più colpiti dal virus e dalle sue dannose conseguenze sull’economia. Ecco apparire lo strumento per il sostegno all’occupazione SURE, il MES con i prestiti per risollevare e potenziare i sistemi sanitari, il New Generation EU con il suo mix di prestiti e sovvenzioni  basati sull’emanazione di bond europei (già proposti da parte italiana).

Arrivati allo scadere dei termini per l’approvazione del nuovo bilancio comunitario con un’intesa ancora in alto mare, è apparso evidente che occorresse chiudere addirittura un mega accordo, cosa mai successa fino a ora, tra l’altro con le risorse decurtate dall’uscita del Regno Unito.  Questo era quanto si prospettava a metà luglio ai Paesi europei.
Le cose non sembravano mettersi per il verso giusto con i paesi del Nord, che in nome della loro “frugalità” non volevano finanziare sovvenzioni e volevano avere potere di veto, poi diventato “freno a mano” da tirare prima di accordare prestiti o finanziamenti ai Paesi che non avessero adempiuto al pacchetto di riforme prioritarie e preventive per ridare agilità e dinamismo ai propri sistemi  economici.

Quegli stessi paesi frugali avrebbero voluto spingere quelli più colpiti dalla pandemia (Italia, Spagna in primis) a servirsi in prima battuta dell’apposito strumento, il MES, i cui regolamenti sembravano ancora contenere una serie di clausole restrittive  (le cosiddette condizionalità) che avevano messo a suo tempo la Grecia KO, riducendone la sovranità e rendendola facile preda di speculatori interni ed esterni all’UE. Giuseppe Conte si è mosso bene: non ha abboccato al pesciolino del MES, e ha  chiesto invece con fermezza una buona dose di sovvenzioni e finanziamenti del Ricovery Fund,  facendo intendere che in cambio non avrebbe sollevato osservazioni al momento dell’approvazione del nuovo bilancio europeo.
E’ andato a spiegare la sua strategia negoziale ai suoi alleati e maggiori negoziatori nel Consiglio, Macron e Merkel,  che  al tavolo di Bruxelles lo hanno  poi convintamente sostenuto, spalleggiando la posizione italiana.

Giuseppe Conte si è anche spinto a celiare con Orban e gli altri del blocco di Visegrad , al fine di allargare il fronte dei Paesi che si opponevano alle richieste frugaliste dell’olandese Rutte, portando a casa un ottimo risultato in termini di cifre assolute:  80 miliardi di sussidi e 120 miliardi di prestiti sul Recovery Fund.  Welldone!… si deve ammettere!

Ma è stato davvero un accordo epocale?
Lo è stato perché si è chiuso all-in-one  un accordo sul bilancio del prossimo settennato dell’UE, sul principio di dotare il bilancio dell’UE di uno strumento finanziario proprio alimentato da ogni Paese, e per aver raggiunto un accordo su una serie di strumenti in grado di proteggere i paesi più colpiti dalla crisi economica a seguito della pandemia, ridando forza al concetto stesso di  Unione, lanciando un monito sulla necessità di tutelare la democraticità delle istituzioni e i diritti dei cittadini in ogni paese membro. Insomma ….tanta roba!

E’ vero, si può rilevare però, che ci si sarebbe potuto aspettare di più. Infatti si è dovuto cedere sugli sconti alle contribuzioni al bilancio comunitario dei paesi frugali: Olanda, Austria, Danimarca e Svezia, riducendo in tal modo il gruzzoletto per finanziare il bilancio dell’UE, già decurtato dall’uscita dell’UK.  Si è dovuto tagliare su ricerca, si è rinunciato al nuovo programma sulla sanità, e sono stati ridimensionati altri capitoli importanti delle politiche comuni, non è stata  introdotta una clausola sul rispetto dello stato di diritto per l’accesso ai fondi,  ma il negoziato si basa sull’arte di raggiungere il miglior compromesso possibile, e questa volta, dopo due giorni di trattative, l’abilità e l’autorevolezza di alcuni leader europei è riuscita comunque a prevalere…il dado è tratto… si sarebbe detto una volta!

Fino a qui hanno giocato i leader degli Stati membri, alle prese con le opposizioni interne e con le tifoserie dei loro elettorati.  Ora sarà il Parlamento europeo, il vero portavoce delle istanze dei cittadini europei,  a rivedere i tagli e ad apportare limature e correttivi che tengano conto delle necessità dei cittadini, in nome di quelle politiche comuni che rendono l’UE una comunità basata sui valori democratici che ne hanno costituito il fondamento unitario.

Per quanto riguarda il nostro paese?… ora arriva il bello!
Si dovrà approntare in un paio di mesi al massimo un piano di riforme sostanziali e di progetti strategici capaci di ridare slancio al sistema-paese e alla sua economia; si dovrà attendere fino ai primi mesi del 2021 per accedere alle risorse comunitarie, ma nel frattempo dovremo passare il doppio vaglio della Commissione e del Consiglio, e si dovrà  presto decidere se attivare o meno il MES per il settore sanitario.
E questo, mentre combattiamo con la ripresa dei focolai del corona-virus, con la problematica prossima riapertura delle scuole e delle università, con l’instabilità della maggioranza di governo e la voglia irrefrenabile di avere, tutti i partiti, voce in capitolo sull’uso delle risorse in arrivo. Task force a Palazzo Chigi o bicamerale che assicuri al Parlamento il potere di indirizzo sui nuovi fondi? Qualcuno sta già approntando il grande piano di riforme? E il grande libro dei progetti ? Se è vero che siamo capaci di dare il meglio nei momenti più difficili, allora questo è uno di quei momenti per dimostrarlo!

Maria Baroni

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