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Il Benefattore

17 Luglio, 2019

” Buon giorno, cara Teresa, come state ? Avete visto che bella giornata?  L’estate vi dona proprio, come siete bella!”

“Buongiorno, Don Amede’, io sto bene e voi?  Siete troppo gentile con me!”

Nonostante le parole cortesi, la donna cambia espressione. Lo sguardo s’incupisce, gli occhi perdono lucentezza, il viso si fa torvo.

“Cara – prosegue la voce – vi ricordate che giorno è oggi?  Se vi sfugge, ve lo rammento io. Oggi è il 27, il 27 di maggio. Sapete bene che significa questa data per noi. Non è vero?

“Sì, lo so…. Non dubitate, sarò puntuale come al solito”

L’altra voce inacidisce: “L’importante è che non mi veda nessuno !”

“Non vi preoccupate ! Una donna affascinante come voi non passa inosservata, ma io farò in modo che nessuno si accorga della vostra visita. Non voglio che la gente maligni. Sapete quanto sono pettegoli nel quartiere! Sono una persona indegna… per voi…. E poi , considero la  riservatezza un valore troppo grande”.

A parlare, tra un sorriso untuoso e l’altro, un omino alto un metro e quarantanove centimetri, con una gobbetta sulla spalla sinistra, l’incipiente calvizie, il collo rattrappito cui è annodato un eterno papillon, i radi capelli tinti e avviati con il riportino, un paio di baffetti striminziti. Indossa un completo primi anni settanta di cotone avana, che sarebbe andato bene a un ragazzino delle medie, con i pantaloni svasati a zampa d’elefante. Non si separa mai da un borsello di vilpelle marrone e da un bastone da passeggio sormontato da un pomo d’argento finemente cesellato. Una figura grottesca. Mescola eleganza e miseria con disinvoltura. Sembra il fratello storpio di Vittorio Orefice. Una cosa laida che si aggira per il quartiere, dispensando a destra e a manca strette di mano viscide, pacche sulla schiena (quando ci arriva) e calorosi saluti, tentando di darsi un tono. Tutti lo scanzano, anzi sghignazzano alle sue spalle. Però lo temono. Certuni lo chiamano semplicemente il Nano, a causa della deformità. Nato ad Avellino e trasferitosi a Roma in gioventù, Amedeo Cirico esercita una professione famigerata. Presta soldi a strozzo, pretendendo un interesse tutto sommato ragionevole per la sua professione. Soltanto il 30% al mese. Mentre i colleghi chiedono il 50, il 100 e persino il 150%. Per questo è conosciuto anche come il Benefattore.

“Che ci posso fare se la gente mi cerca. Vuol dire che ha bisogno del mio aiuto. Io faccio del bene! Solo le malelingue velenose e invidiose ce l’hanno con me. Io sono  una persona onesta!”, dice e prorompe in una risataccia disgustosa, mostrando i canini d’oro zecchino. Appena compare sulla piazza, abietto e claudicante, appoggiandosi al bastone e trascinando la gamba sinistra, un mormorio corre di bocca in bocca: “Eccolo! Guardate! Sta arrivando il Benefattore. Grattiamoci i coglioni. Quello porta sfiga! E’ contento solo se capitano disgrazie, così la clientela si allarga”.

In realtà, Cirico la clientela preferisce selezionarla. Prende di mira prevalentemente le donne sole, soprattutto se giovani e belle, magari senza marito o fratelli. Così nessuno può difenderle. In caso di necessità ricorre alla consulenza di un paio di ex membri della Banda della Magliana. Castore e Polluce – questi i nomi in gergo – intervengono con solerzia e professionalità. Intimidiscono, fanno saltare negozi, bruciano macchine, sfregiano, spezzano arti…. accoppano…. senza pietà, se occorre. Il nano li stima e li paga profumatamente, perché sono implacabili e non commettono errori. Finito il lavoro, svaniscono nel nulla. Come gemelli affiatati, le due canaglie vendono la loro arte al miglior offerente. Sciorinano con naturalezza e orgoglio un vasto repertorio di nefandezze, come fosse il catalogo di un commesso viaggiatore. Il cliente di turno sceglie in base ai propri bisogni, indica l’obiettivo e il livello del danno da arrecare. Loro agiscono con scrupolosa perizia. Molte lacrime sono state versate, miste a copiose gocce di sangue.

II

L’estate è in anticipo. La natura ha già fatto i preparativi per la grande arsura. I primi caldi sono arrivati, eppure maggio non ha ancora preso congedo. L’atmosfera in città appare insolitamente gaia. Nell’aria si percepisce una strana eccitazione. Afflitta da mali secolari e dalla rapacità di governi truffaldini, la capitale conserva un fascino ingannevole, soprattutto agli occhi estasiati dei turisti. Nel quartiere le ombre del meriggio occupano gli spazi vuoti. Corrono come fantasmi dalle forme bizzarre lungo le vie semideserte. Si proiettano sui sampietrini sconnessi. Irrompono nella piazza dall’antico splendore. Aggrediscono la facciata della chiesa, incuneandosi nelle volute barocche, come in una danza macabra, per andare a morire fra i banchi del mercato rionale, contro le cassette di rifiuti abbandonate sui marciapiedi.

Teresa Morabito è in agitazione. Ha lasciato casa in fretta e furia, affidando il piccolo Davide alla baby-sitter. Il bambino fa i capricci. La serranda è stata abbassata alle 14.30. Bisogna rialzarla alle 16.30. Rimane poco più di un’ora per sbrigare la faccenda. Cammina a passo lesto, guardandosi intorno, rasentando i muri. Per fortuna, in giro non c’è un’anima. Il parrucchiere le ha acconciato i capelli secondo l’ultima moda. Il taglio le dona parecchio. I grandi occhi nocciola esprimono fierezza, ma anche dolcezza. Il naso alla francese, la bocca morbida e ben disegnata, le gote leggermente paffute, completano il quadro. Teresa è bella, 28 anni di focosa freschezza, un figlio di cinque, una merceria da gestire, un mare di guai da affrontare da sola. Morto per overdose l’amato Gaspare, la disperazione resta l’unico angelo custode. Ma non può cedere alla malasorte, una creatura ha bisogno di lei. Ha deciso di combattere, di andare incontro al destino con coraggio, senza piegare la testa. Sa che ad attenderla c’è una sgradevole esperienza. Salendo le scale del palazzo, nota le chiazze d’umidità sulle pareti. Alcuni gradini sono sbocconcellati. Bisogna fare attenzione per non scivolare.

“Ma che razza di abitazione! – impreca – E’ proprio il tugurio adatto a quel verme”.

“Entrate, cara Teresa, entrate! Vi stavo aspettando. Siete in perfetto orario, mi fa molto piacere vedervi”.

Il Nano apre la porta e la invita a entrare con i soliti modi melliflui. La donna ricambia con un cenno del capo e varca l’ingresso. L’ambiente è spazioso, con i soffitti alti e i rosoni di stucco, il mobilio vecchio, malmesso, tarlato. Un acre odore di feci e di disinfettante di qualità dozzinale aggredisce le narici. Teresa non trattiene una smorfia di disgusto.

“Avete tutto con voi ? – chiede il Benefattore, e aggiunge – La somma per intero, intendo. Mi capite?”

“Don Amedè, ho soltanto mille e cinquecento. Il resto ve lo darei il mese prossimo. Sapete, la merceria non va bene. I clienti spendono poco. C’è la crisi ! Ma….io….io rispetterò i patti….”

“Ascoltatemi bene, signora ! – l’omino cambia tono, gli occhietti si fissano come spilli sui seni della donna – Ho molta simpatia e stima per voi, ma non permetto a nessuno di mancarmi di rispetto. Due mesi fa vi ho prestato 30mila euro per il negozio. Ho praticato un interesse a dir poco ridicolo, voi lo sapete. Vi ho permesso di rendermi i soldi in 10 rate, per agevolarvi, perché tengo il core tenero, perché avete ‘na creatura e siete bella. Ma oggi, 27 maggio, scade la seconda rata…. E mi dovete pagare….in contanti o in natura. Scegliete voi! Avete compreso bene ? Non vorrei che Daviduccio vostro dovesse versare qualche lacrima di troppo. So che è cagionevole di salute…..”.

Teresa rimane in silenzio, con gli occhi bassi. Dentro cova un’ira furibonda. Avrebbe voluto strangolarlo, quel lurido serpente. Ma, udendo l’allusione minacciosa di Cirico, parla con voce ferma: “Sono pronta a tutto! Ditemi che devo fare, ma lasciate in pace il mio bambino”

“Lo sapevo che avreste messo giudizio. Siete una ragazza in gamba. Capite il valore delle cose. Venite qua, avvicinatevi !”, intanto sale su uno sgabello e si sbottona la patta bisunta. Dalle mutande sguscia un salsicciotto semieretto di proporzioni sbalorditive.

“Forza, che aspettate, ciucciatelo e….. non fatemi sentire i denti !”

In ginocchio sul tappeto, Teresa chiude gli occhi e inizia a lavorarselo di lingua. Reprime a stento un conato di vomito. La cappella maleodorante e dal sapore amaro quasi la soffoca. Man mano che lecca, la bestia si va ingrossando fino a diventare un tronco di carne, duro, paonazzo, impressionante.

“Adesso, voltatevi e mettetevi alla pecorina!”, ordina perentorio il Nano, che non riesce più a tenersi in equilibrio sullo sgabello per l’eccitazione.

In un baleno le è a tergo, fra le chiappe. Con il glande taurino, forza lo sfintere e squassa il retto. La donna emette solo un gemito. L’orgoglio le impedisce di mostrarsi debole, di supplicare. Recita una preghiera fra sè:

“Oddio, abbi pietà di me, dammi la forza di resistere. Lo faccio per Davide!  Giuro che questo maiale la pagherà !”.

“Come la mettiamo il mese prossimo ?”

Accomodata la camicia dentro i pantaloncini luridi, il Benefattore rompe il silenzio carico di tensione. La donna non ce la fa a guardarlo in faccia. Mentre si ricompone, risponde a voce bassa. L’umiliazione, la rabbia, lo schifo, quasi la strozzano:

“Il mese prossimo non ci sono. Vado a Ladispoli. Davide ha bisogno di un po’ di sole e di mare. D’inverno si busca sempre la bronchite. Non so come raggiungervi in città, non ho macchina, come sapete”

Vi aiuterò io, non vi preoccupate! Per una bella signora….. questo e altro! Mi chiamerete al telefono il giorno 26, ci daremo un appuntamento e verrò a trovarvi a Ladispoli con la mia Volvo. Così prendo anch’io una boccata d’aria di mare. Chissà che non mi faccia bene! Siamo intesi, allora ?”.

Le strade si stanno rianimando. Si approssima l’ora di riapertura dei negozi. Intorno al campanile della chiesa volteggia uno stormo di strani uccelli neri. Sembrano felici. Disegnano acrobazie nel cielo terso, figure geometriche di effimera consistenza. Teresa Morabito barcolla. Avanzava lentamente con le gambe tremanti, assalita dalla nausea. Ogni tanto si appoggia ai muri dei palazzi, boccheggiante. E’ tardi. Deve sbrigarsi. Deve correre alla merceria, ma il corpo non risponde ai comandi della mente. Avverte una fiamma roderle il basso ventre e un capogiro ovattarle la testa, eppure si fa forza…..

 

III

 

Lo sguardo del Nano cade sui Levi’s aderenti di una ragazzina lentigginosa. L’occhio va subito a frugare tra l’insenatura delle natiche, nei meandri delle cosce, a sondare la consistenza delle anche ancora acerbe, e s’inerpica lungo la camicetta celeste fino ad appuntarsi sui capezzolini appena sbocciati.

“Guarda che fighetta! Non poteva comprarseli meno stretti i pantaloni! Lo fanno a posta ‘ste troiette a mostrarsi ingenue e allo stesso tempo maliziose….. per provocare….E poi si lamentano che qualche bruto le violenta…..Ma che razza di mondo!”

L’omino si lascia sfuggire queste considerazioni a voce alta mentre, al volante di una Volvo fiammante, percorre l’Aurelia in direzione di S. Severa e Ladispoli. La ragazza saltella ai margini della carreggiata, canticchiando felice una filastrocca sotto i pini mediterranei. Che ci fa lì da sola? Rallentando in prossimità della curva, Cirico nota la silhouette femminile. Una tentazione violenta lo assale. A stento, riesce a vincere l’impulso di fermarsi, di agguantarla e farla salire a forza sull’auto. La pineta non è lontana. Non ci vuole molto….. sarebbe facile cogliere il fiore della sua innocenza e poi abbandonarla senza tante storie….E se si fa  male? Peggio per lei. Chi può accorgersene? Ma l’eccitante impresa non ha corso. Il Benefattore ricorda il motivo della gita fuori città. E’ anche in ritardo. Teresa lo ha chiamato la sera precedente. Si sono dati appuntamento alla periferia di Ladispoli, proprio all’inizio dell’abitato, là dove confluisce la deviazione che si stacca dalla consolare. Lei ha detto che è pronta a corrispondere la rata mensile, in una forma o nell’altra. Ma il Nano è perplesso.

“Come pagherà? Forse ha preso gusto a fare le porcherie…Magari ! ‘Sta volta le do una lezione che se la ricorda fin che campa!”.

La donna va avanti e indietro, nervosamente. L’imbrunire incalza. Il sole sta annegando fra le onde. Intense lingue di fuoco tingono la linea dell’orizzonte e la separano, sfumando, dal blu elettrico della volta celeste. Il vespro vermiglio annuncia una notte speciale. Il paesaggio si sta spopolando. Pochi automezzi sfrecciano sull’Aurelia. Del Nano nessuna traccia.

“Quando arriva?! Speriamo che venga! Se manca all’appuntamento, sono fritta…Adesso o mai più!”. Stressata dalla tensione, Teresa si almanacca il cervello  con strane congetture. Ripassa la sua parte, calcola ogni possibile imprevisto. Dalla curva a gomito sbuca, all’improvviso, una Volvo metallizzata.

“Eccolo ! E’ Lui !”. Ha un tuffo al cuore.

“Allora, ce li hai i soldi ?”

“Ecco, in verità, non ho con me tutta la somma…ma…”

“Come l’altra volta, insomma!”

“Sì, però ho una sorpresa per voi. Ho deciso di fare follie. Vi pagherò tutto…Non ve ne pentirete…Quel grosso affare che mi avete fatto sentire…a casa vostra…Mi è rimasto impresso. Vorrei vederlo ancora…toccarlo…giocarci…Che ne dite ?”

La macchina è acquattata tra le fronde, come un predatore in attesa della vittima. Intorno, una spessa coltre di tenebre. La consolare dista un paio di chilometri, il centro balneare non più di quattro. Dalle spiagge giungono folate di brezza sature di salsedine e un fragore ovattato. Il mare non si cheta neanche in vista della notte. Il Nano e la Morabito confabulano. Lei gli accarezza la patta. Il fagotto acquista volume. I baffetti hanno un leggero tremore. Il fiato pesante di Don Amedeo impregna l’abitacolo. I sedili sono reclinati. Teresa tira su la gonna mostrando le cosce inguainate dalle calze a rete e la passera semicelata dal tanga di pizzo. A un certo punto, accecato dalla voglia, l’omino caccia fuori il muscolo, sempre abnorme, e lo schiaffa bruscamente contro le labbra purpuree. La donna non si fa pregare. E’ già pronta. Lo ingoia fin che può, quasi strozzandosi, e inizia a succhiarlo con tutta l’anima. Il gioco va avanti per alcuni minuti. Cirico perde il controllo. Mugola, agita il bacino, si dimena sul sedile. Tutto fila liscio. Il denaro non conta nulla di fronte a sensazioni del genere, pensa l’usuraio.

“Trasformerò il debito in una serie interminabile di scopate, sempre più porche…sempre più perverse”.

Il confine fra paradiso e inferno è labile…Di scatto, senza preavviso, le mandibole si serrano intorno alla ciccia, come due tenaglie d’acciaio. Il corpiciattolo del Nano riceve una scossa elettrica. Le reni si arcuano al massimo. Le braccine stringono frenetiche il vuoto. Gli occhi sembrano schizzar fuori dalle orbite. Un urlo disumano risuona nelle tenebre. Chi può udirlo?Teresa solleva il capo dal macabro pasto, come il Conte Ugolino. Lo sguardo riluce di gioia satanica. Dalle labbra cola sangue, imbratta il mento e stilla, goccia a goccia, sulla tappezzeria. Trinciata per metà, la cappella pende da una parte. L’organo si è afflosciato. Presenta un orribile colorito bluastro. Amedeo Cirico non riesce a difendersi. Giace immobile e rantolante. Con fulminea rapidità, la donna sfila da sotto il sedile un cuscinetto di gomma piuma che l’omino usa per guidare. Lo preme sul volto livido, rigato di lacrime e bava, per soffocarlo e impedirgli di continuare a gridare. Intanto, dalla crocchia dei capelli estrae uno spillone d’acciaio sormontato da una falsa pietra preziosa, che la nonna adoperava contro i malintenzionati. Con un’energia mai vista, inizia a tempestare il cuscino di colpi. L’ago trapassa la gommapiuma e va a conficcarsi sul naso, sugli zigomi, sulla lingua, nei bulbi oculari, nella gola, sulla carotide. Un diluvio di punture martoriano la carne.

La resistenza del Benefattore non dura a lungo. Soccombe rapidamente. Solo allora la furia selvaggia della Morabito si esaurisce. Il nanetto giace sfigurato e privo di vita sul sedile sinistro della Volvo. Il papillon a pois, strappato, penzola dal collo scarlatto. Nella notte, tra i fruscii del sottobosco, si distinguono lo stridìo delle cicale e il ronzio delle zanzare…nient’altro. Un mare di lucciole punteggia la materia oscura. La donna accosta lo sportello e sparisce nella boscaglia.

 

IV

“Siete chiusi ?”

“No, signora, si accomodi ! Sto per chiudere, ma posso ancora accontentarla se mi dice cosa desidera”.

“Vorrei cinque bottoni automatici e una cerniera lampo”.

“La servo subito. Di che dimensioni li vuole, i bottoni ?”.

“Non troppo piccoli, grazie”.

Teresa va nel retrobottega. Dopo qualche secondo ritorna con la merce. La consegna alla signora sorridendo e dice:

“Vanno bene così ?”

“Sì, grazie, è quel che cercavo”

L’anziana signora paga ed esce dal negozio. Teresa sbriga le ultime faccende, fa i conti, preleva l’incasso, serra la saracinesca e si avvia verso casa.

Fa molto caldo, anche di sera. L’aria è gravida di umidità. La notte non porta sollievo.

“Meno male che Davide è al mare con la nonna”, pensa mentre attraversa la piazza. E’ di buon umore, le viene quasi da ridere, come una ragazzina che pregusti svaghi infantili. La verità è che ha conosciuto un giovane, carino e simpatico. Si sente attratta da lui. Hanno un appuntamento, quella sera. Prima andranno al ristorante, poi a bere un drink in un nuovo locale, dove suonano Jazz dal vivo. Forse passeranno la notte insieme. Non fa l’amore da parecchio. Ne ha una gran voglia.

“Speriamo che prenda l’iniziativa e non aspetti ancora”, si augura. Uno strano calore le avvolge il corpo. S’intenerisce al pensiero degli occhi buoni di lui. Da qualche tempo, la vita ha preso il passo giusto. La merceria rende di più. Il bambino sembra più sereno. Si è riaffacciato un cauto ottimismo, dopo anni di disgrazie e di avversità…Tutto è cambiato dopo quella tragica notte…In un colpo solo si è sbarazzata dei suoi guai…Forse, il futuro può riservarle anche qualche piacevole sorpresa…Chissà!Riflettendo e rimuginando, raggiunge il portone di casa. Inserisce la chiave nella toppa. Sta per aprirlo…Ma accade qualcosa. Una morsa scatta intorno al collo. Il tampone le viene premuto sulla bocca e sul naso. Una zaffata acida entra in gola e invade i polmoni. Si sente mancare… perde conoscenza.

V

 “Che fa, non si sveglia la troietta? Non avrai esagerato con il cloroformio, eh?”

“Non ti preoccupare ! E’ la dose che abbiamo sempre usato. Comunque, se non si sveglia da sola, la sveglio io con questa”, Polluce esibisce la lametta. La tiene sempre a portata di mano. E’ un maestro dei ricami sulla pelle.

“Prima di passare al dovere, voglio gustare un po’ di piacere, Noo ?!”, obietta Castore.

“Ehi, amico, per te il piacere è solo scopare. Per me, piacere significa anche far la bua alle persone cattive”, fa l’occhiolino per sottolineare la battuta feroce, come a dire: “Guarda come sono spiritoso !”

Le voci risvegliano Teresa. La testa pesa come un macigno. Il palato sa di medicinale. Ma la coscienza sta tornando. Un terribile ritorno. Caduta la maschera, la realtà si presenta nella sua essenza autentica: una trappola claustrofobia senza vie di scampo. Distesa su un tappeto di aghi di pino a gambe larghe, ha mani e piedi legati e assicurati a paletti conficcati nel terreno. I vestiti sono stati lacerati per lasciare scoperte le carni. Come un bizzarro trofeo, la biancheria intima fa bella mostra di sé sui rami degli alberi circostanti. Un cerotto ostruisce la bocca della poveretta, impedendole di parlare. Può soltanto mugolare. E lo fa…con tutta la forza che le rimane. Ma il risultato le procura un brivido di terrore. Nessuno è in grado di sentirla. I due energumeni si sbottonano la patta. Le loro intenzioni sono chiarissime.

“Hai visto lo sguardo della troietta ? Sembra spaventata. Mi sa che ha capito tutto”.

“Certo che ha capito. Non è mica del tutto scema. Guarda cos’ha combinato al Nano. L’ha ridotto come un colabrodo…E pensava pure di farla franca. Certo, se era per la polizia, ci sarebbe sicuramente riuscita. Quei coglioni non scoprono mai un cazzo, per fortuna! Ma a noi non poteva sfuggire – Castore cambia interlocutore e si rivolge alla Morabito – Credevi che gli amici di Don Amedeo avrebbero permesso che l’uccisione di un collega e socio rimanesse impunita, in modo da incoraggiare tutti i debitori di Roma a non pagare, o…peggio…a seguire il tuo esempio ? Lo credevi proprio? Povera sciocca. Si vede che sei solo una madre di famiglia! Ora basta con le cazzate. Il tempo è scaduto. Diamoci da fare !”

Castore e Polluce danno il via ai giochi di morte. Tirano fuori il membro e, a turno, nelle pause, se lo menano, mentre tentano di chiavarsi la donna. Alternano lo stupro alle sevizie, per fiaccarne le difese. Lei si agita, oppone resistenza. Cerca di bloccare la penetrazione, ma riusce solo ad acutizzare il dolore, finchè la volontà di lottare cede. Sta per essere travolta dagli ingranaggi del destino. Vistasi perduta, con emorragie e tagli di lametta da tutte le parti, Teresa Morabito prega ancora una volta. Invoca Dio in un delirio di disperazione:

“Signore, ti prego, ti scongiuro, aiutami ! Mi stanno torturando. Mi ammazzeranno. Fa che qualcuno li fermi ! Sì, è vero, ho peccato. Ho ucciso un uomo anch’io, ma l’ho fatto solo per legittima difesa. Ti prego, Signore, fallo per il mio bambino. Non ha nessuno al mondo, oltre me. Solo tu puoi salvarlo…”

Ma il suo Dio si volta dall’altro lato. A casa, Davide piange. Per quanto dovrà piangere ancora?

 

FINE

Raoul Mendoza

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