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La teoria dei giochi valido strumento analitico contro l’intreccio mafie/terrorismi

6 Settembre, 2019

Il modello teorico di contrasto alle interconnessioni fra sistemi criminali organizzati su scala transnazionale è illustrato con chiarezza ed efficacia da Pier Paolo Santi, analista OMCOM

Autore di diversi rapporti di analisi d’intelligence per conto dell’Osservatorio Mediterraneo sulla criminalità organizzata e le mafie, Pier Paolo Santi ci ha concesso gentilmente un’intervista per spiegare/illustrare gli aspetti salienti di un modello teorico, già esposto in suo recente articolo, in grado di sviluppare un’adeguata azione di anti-interconnessione nei confronti dei sistemi criminali organizzati operanti su scala transnazionale.

 Terrorismo e sistemi criminali organizzati su scala transnazionale, soprattutto in connessione reciproca, rappresentano una grave minaccia per la sicurezza e la stabilità internazionali. In che misura, con quali funzioni e strumenti l’azione d’intelligence può e deve contrastarla?

 Rappresentano un enorme rischio per il settore della sicurezza. Partiamo dalla criminalità organizzata e ragioniamo in termini legati al profilo di minaccia interna ed esterna. Avvaliamoci di quella autoctona (la nostra) e diamo una nuova indicazione. Potremmo definirla un NEMICO INTERNO, in grado ANCHE di esercitare, per il solo fine di un vantaggio di profitto o acquisizione di potere, una negativa influenza economica (con illecito), politica e di sicurezza sul territorio nazionale per conto di ALTRI. Ecco, sono gli “altri” che allarmano chi si occupa di interconnessioni. Avere simile struttura sul territorio implica non solo una presenza cancerogena sociale, ma una destabilizzazione d’Intelligence. La sua struttura affaristica e priva di codice comporta potenziali alleanze e “agganci” a 360°. Uno dei fattori (trascurati) è, tanto per citare un esempio, l’effetto della contaminazione di soggetti stranieri all’interno delle organizzazioni e quindi inquadrati non come semplici soci? Chi sono questi?  Da dove vengono?  Quale il loro  trascorso  criminale?

Da chi sono stati precedentemente agganciati o anche semplicemente attenzionati? Soggetti “coltivati” da altri?

Se, dopo questa nuova definizione, sommiamo tutte le origini e diramazioni criminali nel mondo e le loro “specializzazioni” abbiamo una vaga idea del rischio globale. Non dovrebbero più sorprenderci interconnessioni fra le mafie con i cartelli sudamericani, i jihadisti e magari alcune Intelligence (ostili). Visualizziamo il problema con un paragone: Immaginiamo che tutte le minacce interne ed esterne si concentrino nelle acque di un unico lago. Immaginiamo che la nostra difesa consista in una palafitta e che i pali di sostegno siano l’Intelligence. Ora, la palafitta deve affrontare, o prepararsi a farlo costantemente, non solo le avversità degli agenti atmosferici (i mutamenti geopolitici), ma anche le possenti onde delle acque agitate. Le onde, la parte più visibile, possono essere attacchi terroristi, cyber attacchi, operatività della criminalità organizzata autoctona e allogena, intromissioni d’Intelligence straniere pronte a sfruttare i nostri punti deboli… insomma LUNGA LISTA. La palafitta, nel tempo e dopo molti errori valutativi, si sta rafforzando (sempre troppo lentamente) ma forse non stiamo prestando la necessaria attenzione alle CORRENTI invisibili e subdole dell’acqua: siamo alle INTERCONNESSIONI. Le correnti, proprio per la loro natura subdola e difficile da identificare, sono tra le maggiori cause del deterioramento significativo dei pali di sostegno che invece andrebbero trattati per questo tipo di minaccia (o sunto delle minacce). Ribadiamo, dunque, un concetto più volte esposto: creare gruppi investigativi ad hoc solo per le interconnessioni.

In un suo recente articolo propone un modello teorico-concettuale per l’analisi geopolitica d’intelligence in grado di sviluppare un’azione di Anti-interconnessione intesa come gioco strategico d’interruzione. Di cosa si tratta concretamente?

L’Intelligence è la prima difesa, il punto imprescindibile di questa particolarissima guerra. Le faccio un esempio con l’Iraq: gli Usa hanno voluto portare avanti una guerra convenzionale senza calcolare o considerare importanti scenari e contromisure d’Intelligence. Isolare molti componenti militari, anche dell’Intelligence, di Saddam (quindi del partito laico Baath) ha comportato un loro avvicinamento alla sfera jihadista che a sua volta ha formato sinergie con alcune realtà locali e reti di trafficanti. In pratica si è formata una autentica interconnessione che ha portato effetti  a cascata, il più famoso porta il nome Isis. Ecco allora l’importanza del contrasto alle varie forme d’interconnessione (sono molte e di diversa natura) con modelli di analisi previsionistici “Ad hoc”. È quello che stiamo tentando di realizzare come OMCOM. Il modello da Lei citato è uno di questi. Consideri che le interconnessioni, per come le abbiamo concepite, sono il frutto sinergico di almeno tre componenti di matrice diversa. Una delle più pericolose da prevedere e contrastare è quella tra un gruppo della criminalità organizzata, uno jihadista con la partecipazione d’Intelligence ostili. Con l’eventuale inserimento del terzo partecipante (attore) si comprenderà subito quanto si vada ben oltre l’investigativa classica e l’importanza che assume (perfino nelle valutazioni) la geopolitica.

Quale il ruolo dell’analista d’intelligence, in connessione con gli agenti operativi, in questo gioco?

Da tempo gli addetti ai lavori si pongo una domanda: l’analista deve essere in contatto, in alcuni casi, con l’operativo? Devono relazionarsi direttamente fra di loro? Personalmente sono del parere che, soprattutto nel settore delle interconnessioni, il rapporto diretto fra le due figure debba esserci , certo il rischio di influenzarsi è sempre in agguato. Sulla figura dell’analista in questa contrapposizione vanno aggiunte due problematiche:

– in prima battuta, cosa accadrebbe se un analista anticrimine dovesse confrontarsi e competere con uno di un’intelligence straniera? Si potrebbe accentuare l’impossibilità dell’investigativa anticrimine di poter proseguire su eventuali interconnessioni, fra intelligence straniere e criminalità organizzate o gruppi estremisti, senza un reale appoggio delle loro agenzie informative. Entra in gioco la politica, diplomazia, interessi commerciali e altri fattori che un investigatore antimafia non può conoscere nei singoli dettagli. Il contrasto a eventuali interconnessioni o sinergie di questo livello (il massimo) possono essere portate a termine solo se gli investigatori sono appoggiati completamente dai loro Stati e strutture di supporto, ma anche in questo caso occorrerebbero forse sinergie con altri paesi (alleati). Questo è uno dei quesiti presenti su un altro recente rapporto OMCOM cui ho dato il contributo.

– Secondo punto: la ricerca di quello che abbiamo definito l’analista criminale, vale a dire il rischio dell’esistenza di analisti dall’altra parte della barricata che potrebbe competere con il nostro e alzare il livello di qualità dello scontro. Di recente mi è stato chiesto di poter fare un esempio pratico su questa figura pericolosissima. Prendiamo un analista “buono” (se mi è consentito questo termine elementare). Per lui un lavoro stimolante potrebbe consistere nell’elaborare delle proiezioni e scenari di previsione, su richiesta di Aziende private o addirittura del comparto Difesa, per localizzare una o più falle di sicurezza legate all’ambiente circostante e al contesto operativo. Bene, andiamo dai “cattivi”. Una organizzazione specifica criminale incarica un analista esperto privato e gli offre un impiego: svolgere simulazioni per trovare falle nell’organizzazione, nella struttura degli attuali e futuri traffici illeciti o per il delicatissimo settore delle interconnessioni. Falle che potrebbero essere sfruttate dalle Forze dell’Ordine o dai competitori criminali. L’analista criminale (presumo con un ottimo compenso) dovrà mettersi al lavoro riflettendo e applicando scenari e simulazioni d’Intelligence per il suo schieramento. Ecco che la sua figura diventa il primo competitore per un analista privato o statale dalla parte del suo Paese.

Da questo timore scaturisce un’altra considerazione: immaginate i guadagni di una piattaforma che indirizzi gruppi criminali o terroristi nelle sinergie più idonee alle loro strategie e situazioni interne. Immaginate la professionalità e capacità di analisi che devono costantemente dimostrare gli operatori di queste piattaforme. Siamo al cuore del nostro vero nemico: le strutture CERNIERA, che si differenziano da quei singoli soggetti sempre definibili tali, ma privi di un supporto come le piattaforme menzionate. In questo quadro, si potrebbero collocare quegli analisti criminali di cui abbiamo accennato?

In base alle sue informazioni che livello d’interconnessione sussiste fra organizzazioni criminali e formazioni terroristiche di matrice jihadista nel teatro del Grande Mediterraneo?

Le interconnessioni hanno delle sottostrutture talmente estese e ramificate che rientrano nel quadro globale. Molti di questi fenomeni trovano l’epicentro proprio in settori mediterranei. Precedentemente avevamo riportato l’esempio di interconnessioni che partivano dal sud America. Queste non sono quasi mai finalizzate a quel continente ma al settore europeo, nord africano e mediorientale. Molti traffici servivano per alimentare la guerra in Siria tanto per citare un settore. A prescindere dai singoli casi e traffici, a nostro avviso sono particolarmente temibili le organizzazioni ombrello e cerniera concepite da tunisini jihadisti. Sempre come OMCOM il primo gennaio abbiamo pubblicato un rapporto specifico sui possibili collegamenti fra la nostra criminalità organizzata e jihadisti terroristi, notando una possibile attività di un gruppo denominato Ansar al Sharia Tunisia. Siamo arrivati alla conclusione che qualsiasi sigla adottino molti tunisini di questo ambiente sono diventati de facto, dagli anni novanta a ora, una sorta di organizzazione d’intelligence jihadista in collegamento con le più varie realtà catalogate “minaccia” per la nostra sicurezza e la stabilità di molti settori chiave.

A suo parere le potenze occidentali, compresa l’Italia, stanno sviluppando valide ed efficaci azioni di anti-interconnessione in questa fase?

A mio avviso non a sufficienza e non vorrei che si procedesse a “macchia di leopardo”. Ha un senso in verità: una autentica risposta non può provenire, è subito comprensibile, da un singolo Stato, ma da strutture di alleanze per la sicurezza che dovranno rivedere alcuni loro parametri strategici e operativi. La Nato potrebbe essere una di queste strutture. Tutto sta a inquadrare il problema, farlo capire ai decisori (spesso politici) e unire investigativa classica (anticrimine e terrorismo) con le esigenze della geopolitica dell’intelligence. Speriamo di aver dato e dare un minimo contributo con considerazioni, rapporti e modelli di analisi proposti che focalizzano questo aspetto.

Aldo Musci

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