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La spy story, un genere evergreen ricco di suggestioni

25 Giugno, 2019

Dalla fiction alla realtà, da James Bond a Dick Mallaby, lo spionaggio appassiona milioni di lettori. Un agente inglese veramente segreto ha contribuito ai negoziati per la resa dell’Italia nel 1943

La spy story è un genere letterario sempre verde e di grande successo che ha affascinato intere generazioni di lettori. Chi può dimenticare icone della fiction come James Bond, creato da Ian Fleming, o Smiley, partorito dalla penna di John Le Carrè? Proprio di quest’ultimo – ci ricorda Paolo Bertinetti, professore di Letteratura inglese all’Università di Torino – merita di essere segnalata la sua autobiografia, intitolata “The Pigeon Tunnel”, pubblicata in Gran Bretagna qualche anno fa e poco dopo in Italia come “Tiro al piccione”. Un titolo singolare che rinvia a un episodio dell’infanzia dell’autore e forse vuol mandare un messaggio in codice: spesso gli agenti segreti, tornati alla base dopo avere rischiato la vita, vengono rimandati in missione a rischiarla di nuovo, senza dar loro tregua. Bertinetti giudica il libro “affascinante, ricco d’ironia che però, per quanto riguarda l’attività di agente segreto di Le Carré nulla aggiunge a ciò che ‘imprecisamente’ è già stato detto da altri. E non lo aggiunge per due ragioni. Primo, per lealtà verso i Servizi segreti per i quali ha lavorato. Secondo, perché aveva garantito a coloro che avevano collaborato con lui che la promessa di riservatezza sarebbe valsa per sempre”. In effetti, l’autobiografia è centrata soprattutto sull’avventura esistenziale dell’autore che all’età di ventun anni fu assunto dall’intelligence britannica. Fu proprio un suo superiore a suggerirgli di scrivere il primo romanzo “Chiamata per il morto”, un piccolo capolavoro che ha dato il via a una fulgida carriera.

Dietro le vicende eroiche (a volte esagerate) dei personaggi della fiction, tuttavia, spesso si celano nell’ombra le storie autentiche, ma non meno gloriose, di coloro (anonimi individui mimetizzati fra la gente comune) che l’intelligence l’hanno praticata sul campo. Storie perlopiù sconosciute al grande pubblico. Soltanto raramente qualcuna di esse viene alla luce per puro caso, come quella emersa il 23 settembre 2016, quando il Comune di Asciano ha consegnato a Caroline, Elisabeth e Richard Mallaby una medaglia d’oro per onorare la memoria del loro padre Dick, un inglese che visse lungamente e riposa nel paese toscano, luogo che amava più di ogni altro. L’evento ha destato clamore mediatico e anche in Gran Bretagna sono state finalmente divulgate le sue gesta, grazie ai lunghi articoli pubblicati nei quotidiani Times, Telegraph e Daily Mail. Il misterioso mister Dick ha fatto parte della ristretta élite, composta da esponenti della famiglia reale e dei vertici politico-militari italiani, che viaggiò da Roma a Brindisi nel settembre 1943 a seguito della proclamazione dell’armistizio tra italiani e Alleati. Grazie alla ricerca di Gian Luca Barneschi, si è appreso che in realtà  Mallaby è stato un personaggio fondamentale nella storia della II guerra mondiale, rimasto sconosciuto per settanta anni, in virtù del suo contributo alla resa italiana agli Alleati del settembre 1943 e quella dei tedeschi dell’aprile 1945, definita comunemente ‘la resa degli ottocentomila’.  Bisogna sapere – scrive Barneschi – che “Mallaby era un agente dello Special Operations Executive (SOE), il corpo britannico rimasto per decenni segretissimo e creato allo scopo di compiere attività non convenzionali…Non hanno dunque esagerato i quotidiani inglesi (che hanno finalmente scoperto le gesta del loro eroico connazionale) nel definire Mallaby ‘il vero James Bond che si paracadutò nella Seconda Guerra Mondiale dietro le linee nemiche’”.

Sebbene cittadino inglese, Mallaby fu l’unico operatore radiotelegrafico utilizzato dagli italiani e, dal 29 agosto 1943, attraverso le sue orecchie e le sue dita transitarono tutte le segretissime comunicazioni in codice trasmesse dai vertici italiani agli Alleati e viceversa. E, quando la situazione precipitò dopo la proclamazione dell’armistizio, fu chiamato a far parte del ristretto gruppo, comprendente come noto il sovrano e la moglie, il principe ereditario, il capo del Governo e i vertici delle tre forze armate, che viaggiò da Roma e Brindisi.

La seconda missione di Mallaby fu altrettanto clamorosa e quasi inverosimile. L’agente inglese, entrato clandestinamente in Italia e catturato per la seconda volta, per evitare la fucilazione improvvisò una performance da grande attore. Comunicò, infatti, ai militi della Repubblica Sociale Italiana di esser stato incaricato dal Maresciallo Alexander di interloquire con il Maresciallo Graziani per verificare le possibilità di una resa concordata che evitasse ulteriori spargimenti di sangue e distruzioni nel nord Italia. Sorprendentemente la balla fu ritenuta credibile, sia dagli italiani che dai tedeschi. Così Mallaby, dopo giorni di serrati interrogatori, si trovò faccia a faccia con il capo supremo delle forze di polizia tedesche in Italia, il generale delle S.S. Karl Wolff, e lo convinse a intraprendere, senza il consenso di Hitler e di Himmler, quelle trattative con gli Alleati che sfociarono nella resa firmata a Caserta il 29 aprile 1945.

Dopo la guerra, Dick Mallaby lavorò nella NATO dal 1953 al 1° aprile 1981, quando morì prematuramente a Verona. Al suo funerale partecipò anche un uomo che, dopo qualche mese, sarebbe salito agli onori della cronaca: il comandante della base NATO di Verona, James Lee Dozier, rapito dalle Brigate Rosse e poi liberato da un blitz a Padova delle Forze speciali.

 

Aldo Musci

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