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L’amore al tempo del Coronavirus

18 Marzo, 2020

Questo virus, mentre ci distanzia, finisce per unirci

Nell’epoca meno sensuale che sia esistita, divisa tra relazioni virtuali e ostentata pornografia, eccoci chiamati alla prova estrema. Riscoprire il valore della presenza e del contatto, attraverso la loro assenza. Una sorta di ground zero della dimensione relazionale. Vera condizione quaresimale di ritiro. La chiamano distanza sociale: quella che ci permette di preservare la nostra salute, prendendoci cura dell’altro. E oggi vediamo come miraggi anche baci e abbracci. Sono passati pochi giorni, eppure sembra un secolo. Come essere entrati in una nuova era: un film di fantascienza evocato e incarnato.

La mattina ti affacci alla finestra e vedi qualche personaggio stralunato che cammina nella città deserta. Il pomeriggio c’è il coprifuoco. Le famiglie sono obbligate a una convivenza coatta che le mette a dura prova. Pare che in Cina, dopo l’emergenza, siano esplose le richieste di divorzio. I single scoprono quanto sia dura la solitudine. Ognuno sprofondato dentro se stesso. Quarantena. Isolamento. Perché così facendo, salviamo l’altro. Distanti, ma connessi da un virus che supera i confini. Non ci sono barriere, nazionalismi che tengano. Tra poco saremo accomunati tutti da un medesimo problema. E i dibattiti, le contrapposizioni politiche nazionali e sovranazionali che animavano i talk televisivi ci appariranno obsolete. Come tutto, d’altronde, in questa società dell’apparire. Un balzo quantico di consapevolezza. E ci sentiamo improvvisamente nazione, tiriamo fuori le bandiere, cantiamo, inventiamo storie che sdrammatizzino, fieri della nostra identità e della nostra Resistenza. Nella distanza si riscopre, quindi, il valore della Comunità. Dopo il soggettivismo degli “ego” ipertrofici, ritorna il “Noi”. “Noi ce la faremo!”.

Il virus è una livella e non fa discriminazioni. Colpisce il ricco e il povero, il normale cittadino e il personaggio politico. Siamo tutti attaccabili, vulnerabili. Il virus ci costringe a una sospensione. Stop. Pausa. Una brusca frenata dopo aver sentito parlare ossessivamente di crescita. La crescita come un mantra. In nome della crescita, abbiamo tagliato le radici dell’albero per ottenere soltanto una folta, effimera chioma. E l’albero è caduto. Ora niente più corse. Giornate affannate. Impegni continui. Criceti nella ruota. Ora la ruota si è arrestata e noi ci ritroviamo ad avere tempo. Il bene più prezioso. Tempo per capire chi siamo e dove vogliamo andare. E’ una questione personale, nazionale, europea, mondiale. E’ stata questa la società del disamore, dell’infelicità e della disintegrazione. A cominciare dal rapporto uomo/natura. Speriamo che questa immane tragedia ci riporti all’essenziale.

Brunella Marcelli 

 

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