L’Antropocene vira verso il Caos?
La modernità liquida descritta da Zygmunt Bauman demolisce strutture e liquefa modelli senza preavviso, complice la rivoluzione tecnologica permanente
Cambiamenti climatici, crescita demografica oltremisura, disuguaglianze crescenti, conflitti destabilizzanti, migrazioni bibliche, violenza diffusa e concentrata. Intorno a noi c’è un mondo in rivolta. La stessa Natura si ribella all’azione dell’Uomo. Sono tutti segni del tempo, controbilanciati tuttavia da prodigiose innovazioni tecnologiche che non danno tregua. Stiamo parlando d’intelligenza artificiale, digitalizzazione, robotizzazione. Processi che stanno mutando nel profondo la struttura dell’essere-nel-mondo. La domanda è: in quale direzione?
Qualcuno definisce la contemporaneità “Età del Caos”, nella quale tutto si confonde e si contamina. Altri, come Zygmunt Bauman, prospettano una dimensione alienante/spaesante: “Questa nostra epoca eccelle nello smantellare le strutture e nel liquefare i modelli, ogni tipo di struttura e ogni tipo di modello, con casualità e senza preavviso”. Forse, la categoria che la definisce in maniera più puntuale è quella di “Antropocene”. In realtà, si riferisce addirittura a un’era geologica. Leggiamo da Wikipedia: “Termine diffuso negli anni ottanta dal biologo Eugene F. Stoermer e adottato nel 2000 dal Premio Nobel per la chimica Paul Crutzen nel libro Benvenuti nell’Antropocene… Indica l’epoca geologica attuale, nella quale all’essere umano e alla sua attività sono attribuite le cause principali delle modifiche territoriali, strutturali e climatiche”.
Il punto è: che traiettoria sta seguendo l’Antropocene? Osservando le stelle, gli astrologi vaticinano L’’Era dell’Acquario” come ultima epoca dell’Umanità sul pianeta Terra, intesa come stagione in cui prevarrà l’evoluzione spirituale a tutti i livelli della vita individuale e associata. Dunque, ancora una volta, si ripropone il binomio Paradiso/Inferno, salvezza o dannazione, come assi cartesiani del destino umano, maglie insuperabili della trappola esistenziale nella quale siamo tutti imprigionati.
In altre parole, che futuro avremo? In verità, si dovrebbe cominciare a criticare la stessa nozione di “futuro”, abusata ormai in tutti i sensi. Ma non è così. Evocare il futuro è di moda: sia per dire che si trova “irrimediabilmente alle nostre spalle”, sia che lo si dipinga magnifico e radioso, e sia chi lo considera sinonimo di catastrofe prossima ventura. In any case, sul futuro si organizzano anche festival, come quello realizzato a Verona di recente a cura di Eccellenze d’Impresa, Harvard Business Review Italia e Gruppo editoriale Athesis. Da quell’evento, che ha visto oltre 2000 presenze, sono emersi temi, suggestioni e riflessioni, degni di nota.
Iniziamo da un argomento cruciale: il passaggio dalla digitalizzazione alla robotizzazione. Un salto di qualità tecnologico che rivoluzionerà ogni settore della vita associata. “Negli ultimi anni abbiamo digitalizzato tutto, la prossima fase – ha detto Alberto Mattiello, del Comitato Scientifico Piccola Industria di Confindustria – è la robotica, che trasformerà il mondo. Nei prossimi anni avremo una capacità di trasferire dati praticamente infinita grazie al 5G, una praticamente infinita di elaborarli, grazie ai nuovi sistemi di computazione quantica. Su questa piattaforma si innesteranno i software intelligenti, l’intelligenza artificiale che esiste da molti anni, ma solo adesso ha le vere capacità di elaborare dati in grandissime quantità in tempo reale, e poi soprattutto l’avvento del mondo robotico. Oggi la robotica, quindi i sistemi che possono agire all’interno del mondo in cui viviamo – ha sottolineato – sono la nuova frontiera di evoluzione”.
All’interno del dibattito non sono mancate tuttavia anche le voci critiche. “Ma per la tecnologia non basta l’ottimismo – ha replicato Andrea Granelli, Presidente Kanso, e ha aggiunto – L’uomo quando ha inventato la barca ha inventato anche il naufragio. Anche il digitale può sbagliare, l’errore non è casuale, ma è strutturale”. Per fortuna c’è anche chi, come Carlo Blengino, Fellow del Centro Nexa su Internet e Società, ha il coraggio di indicare anche vincoli da porre allo sviluppo senza freni: “Dobbiamo governare e poter dire di no a una tecnologia. Immagino tre nuovi diritti fondamentali: il diritto alla disconnessione, il diritto all’inefficienza, perché l’efficienza totale della tecnologia porta a distorsioni. Infine il diritto alla ‘non augmentation’: un anziano deve poter dire al suo datore di lavoro che non vuole indossare un esoscheletro per compiere lavori fisici, ha il diritto di andare in pensione”, ha concluso.
A riportare la discussione su un piano di più stringente concretezza, comunque, ci pensano i dati. I cittadini che usano Internet in modo continuativo, ad esempio, sono il 74% in Italia e l’86% nell’Ocse”, riferisce Luca Attias, commissario straordinario per l’Agenda digitale della presidenza del Consiglio. Numeri da affiancare a quelli forniti da Umberto Bertelè, professore emerito di strategia al Politecnico di Milano e presidente degli Osservatori Digital Innovation dell’ateneo: “Sette su dieci delle più grandi aziende al mondo sono digitali in senso stretto”. Dati, dunque, che testimoniano di un Belpaese ancora indietro rispetto ai processi d’innovazione in corso nelle aree più avanzate del pianeta. Un divario tutto da recuperare.
Aldo Musci