Le Diable
La donna dai capelli rossi lo fissa intensamente. Ha gli occhi blu notte, magnetici, metallici, come una fiamma imprigionata in un cristallo di ghiaccio. Il volto bellissimo ricorda una nobiltà d’altri tempi. L’incarnato è madreperlaceo, i lineamenti sono perfetti. Il naso non avrebbe sfigurato in una statua di Fidia. La bocca carnosa, ornata da labbra morbide e ben disegnate, contrasta lievemente con gli zigomi alti dell’ovale. Sembra una sfinge enigmatica, inquietante, ma suscita emozioni. E’ inespressiva, eppure comunica l’indicibile. Lo guarda, non dice una parola e intanto muove le mani sul tavolo, una scrivania che Luca non avrebbe saputo datare. Seduti l’uno di fronte all’altra, si studiano. Eseguono un rito antico. Lei ha distribuito i Tarocchi sulla superficie di ebano, ricamata da intarsi, secondo uno schema preciso, geometrico. A intervelli regolari, li rigira mettendo a nudo le figure. Poi, fa un commento secco, ma senza staccare lo sguardo dalle iridi dell’uomo. Inebetito, lui subisce.
Per l’ennesima volta, la donna dai capelli rossi sta leggendo il destino, ne interpreta i segni. Le carte parlano di dolore, di disperazione, di disgrazia… E lui ascolta, annichilito. Da sei mesi, ormai, si reca ogni giovedì in quell’appartamento decadente della città vecchia. Lì incontra Maddalena, la cartomante, in una sala dai cupi tendaggi di velluto cremisi, adorna di cimeli: candelieri d’argento, mobili d’antiquariato massicci, ninnoli esotici… e poi, l’acre odore delle essenze che lei brucia durante le sedute. All’inizio è stato un gioco, un modo per esorcizzare la sfiga che da un anno lo perseguita. Dopo alcuni benefici, però, Luca entra in una spirale allucinante. Versa continuamente denaro per combattere il malocchio, per neutralizzare le forze negative. Le entità maligne – così lei le definisce – lo stanno rovinando. In pochi mesi la sua vita è andata a rotoli. La moglie lo ha lasciato; si è rotto il femore in un incidente stradale; un collega bastardo lo ha messo in cattiva luce in ufficio facendogli rischiare il licenziamento. Nel frattempo, il conto in banca è stato prosciugato da una femmina incantevole di nome Maddalena dai lunghi capelli ramati, dal fascino sinistro. Luca è pazzo di lei. La desidera più di ogni altra cosa al mondo. Vorrebbe possederla nel suo stesso studio, in quella torbida atmosfera satura di essenze dolciastre. Non gli importa di niente, nemmeno delle disgrazie che lo bersagliano quotidianamente. Piccoli fastidi, contrattempi, circostanze sfortunate, avversità d’ogni genere, si accaniscono contro di lui, gli avvelenano l’esistenza. Ma Luca pensa solo a lei, a quegli occhi di ghiaccio bollente. Luca vive solo per Maddalena.
“Ora guardiamo l’ultima carta. E’ quella decisiva. Il tuo futuro dipende tutto da qui”, sussurra la donna dai capelli rossi… Il tono è enfatico e grave, come quello di un giudice che legge la sentenza di morte. La carta viene girata lentamente. Maddalena sembra una giocatrice di poker che vuole vedere se è entrato l’asso. Sbircia la figura senza mostrarla al suo interlocutore… Cinque secondi di silenzio… Poi, trionfante, annuncia: “Le Diable! E’ come pensavo. Non hai scampo. Il tuo destino è segnato. Prima la torre che crolla, adesso il diavolo. Il cerchio si chiude. Un cerchio infernale – gli occhi della cartomante si accendono di una luce particolare, livida ma baluginante – C’è una sola via, una sola possibilità per evitare il disastro. Faremo un rito speciale, di liberazione, di protezione contro le forze dell’abisso. Mi darai diecimila euro”.
“Diecimila euro? – ripete sbalordito lo sventurato – Non ho più un soldo. Te ne ho già dati trentamila, Maddalena. Sono a secco… E le cose mi vanno peggio di prima – l’ira sta montando nel cuore di Luca – Molto peggio da quando ti ho conosciuta. Mi hai distrutto. Ho perso la testa e la dignità, il rispetto di me stesso. Hai irretito la mia vita e l’hai trafitta con le tue unghie rapaci, laccate sangue. Artigli felpati che hanno lacerato la mia anima. Ma io non ti darò niente, non posso darti più niente. Sono completamente rovinato, spezzato dentro”.
La donna dai capelli rossi non prorompe in una risata sguaiata – come Luca si aspetta – Non si lascia andare a un gesto esplicito di derisione. Sorride, semplicemente. Un sorriso agghiacciante. Incastonato nell’incisivo destro riluce un brillantino. Conferisce al volto un’espressione ancor più inquietante. In quel momento lui capisce quanto è malvagia. Un tremito, una scossa elettrica gli attraversano le membra, dalla punta dei piedi alla radice dei capelli. Una forza sovrumana infiamma i nervi, galvanizza i muscoli. Il pugno arriva all’improvviso sullo zigomo sinistro, come una mazzata pesante, dolorosa. Maddalena non riesce a schivarlo. Cade sul tappeto stordita. L’uomo le è addosso in un attimo. La tempesta di colpi, deturpandole i lineamenti che adorava. Il viso della donna si riempie di tumefazioni violacee. Un rivolo scarlatto le solca il mento. Due tenaglie si serrano intorno al collo esile, troncandole il respiro. Agisce come un forsennato. Ha smarrito la percezione del tempo. Ha gettato dietro le spalle le sue miserie. In quel gesto estremo, violento, disperato, celebra il suo riscatto.
“Maledetta, hai finito di tormentarmi – ringhia – e intanto stringe…”
La donna dai capelli rossi non oppone resistenza. Come un pupazzo di gomma, sembra svuotata dell’anima. Forse il suo spirito è già lontano, attirato in un cunicolo oscuro, nell’altro mondo, nel sottosuolo dell’Universo. A un tratto, dal profondo delle viscere, si ode un rantolo. Frasi smozzicate, perse nel vuoto, pronunciate da una voce rauca, antica, in un’altra lingua, fuoriescono dalle labbra vermiglie…
“OOOh! God, Goddam! Help me! You bast-bastards, don’t touch me-me! AAAh AAAh! Devil, save me! Fire! The fire! Devil help me! The fire, I’m burning… You’ll be damned forever!”
Accecato dal furore, l’uomo non capisce, non presta orecchio. Continua a forzare la carotide fino a quando sente uno schiocco, come un ramo che si spezza. La testa scivola penzoloni sul busto. Gli occhi si velano, diventano biglie di porcellana. La pelle comincia a raggrinzirsi e a riempirsi di papole color ruggine. La lingua s’incolla al palato. Dalla bocca scaturisce un gorgoglio di bollicine rossastre. La donna dai capelli ramati sprofonda nell’oblio. Luca si stacca dal corpo di Maddalena con un ghigno.
“Cosa credevi – si rivolge al cadavere muto – di fottermi del tutto e farla franca? Eeehh?! Pensavi che avrei accettato ogni ingiuria per te? Cazzo, mi consideravi proprio un coglione! Vero? Lo sono stato per lungo tempo, ma oggi sono risorto. Oggi mi è tornato il coraggio”.
Si ricompone e dà un’occhiata in giro. Nella sala l’aria è irrespirabile, satura di quell’incenso del cazzo. I tendaggi pesanti, la luce fioca, l’atmosfera tossica, rendono l’ambiente claustrofobico. Luca inizia a frugare dappertutto. Cerca qualcosa, forse dei valori. Mette a soqquadro i mobili. Apre ogni cassetto, ne rovescia il contenuto sul pavimento, sui tappeti. In uno scrigno cesellato trova un anello di rubini dalla montatura originale, un pendolo con una pietra nera incastonata e settemila euro in contanti. Tocca il cielo con un dito. Comincia a ridere, contagiato da un’allegria insana, folle, esasperata.
“Con questo – proclama a un pubblico immaginario – recupero parte dei soldi che mi ha inculato la troia. Varrà una fortuna il rubino. E’ antico, enorme… I settemila me li sparo tutti in pochi giorni. Voglio divertirmi. Voglio mandarla al diavolo la sfiga!”.
Prima di andarsene, nota una cosa arrotolata in un cantuccio, vicino a una cassapanca. La curiosità è più forte della fretta… La pergamena reca un sigillo di ceralacca in basso, a destra. Sembra autentica. Luca tenta di decifrarla. Il testo, in inglese, è composto da caratteri gotici sbiaditi. Recita pressappoco così: “L’anno di grazia 1631, in nome di Sua Maestà Charles I, codesto tribunale ritiene che Magdalen Westlake, detta la strega di York, abbia causato la morte del suo amante, Lord Harold Davenport, duca di York, attraverso l’esercizio della magia nera, per impossessarsi delle sue sostanze. Trattandosi di stregoneria e non di semplice omicidio, codesto tribunale di Sua Maestà condanna la suddetta Magdalen Westlake a essere bruciata viva finchè morte non sopravvenga, invece che venire appesa per il collo. La sentenza verrà eseguita all’alba”.
L’uomo è attonito. “E’ uno scherzo? – si chiede – Magdalen-Maddalena??!! Non può essere la stessa persona! Sono passati quasi quattro secoli, a meno che non si creda alla reincarnazione… Forse è un lontanissima ava”. Si ferma un istante a pensare, fissando un punto nella parete, come ipnotizzato. Poi, sentenzia: “Maddalena o Magdalen, chiunque tu sia, questa volta ti ho fermato io, non il Tribunale dell’Inquisizione!”. Alle parole fa seguire un gesto eloquente. Prende il tarocco maledetto, l’ultimo che lei ha toccato. Mentre lo tiene stretto fra il pollice e l’indice, commenta sprezzante: “Ho saldato il conto, mia cara!”. Luca muove la mano, a scatto. LE DIABLE taglia l’aria, roteando su se stesso. Atterra sul petto della donna dai capelli rossi. La porta si chiude alle spalle. Non lo vede nessuno. In pochi secondi si trova in strada, nella notte vellutata.
II
L’autunno è entrato da poco. Giornate fresche, assolate, non umide. La città è in forma smagliante. Un carosello di luci, i viali sfavillanti di colori, la brezza che ossigena la massa di cemento, l’afrore di salsedine sospinto dalla costa verso l’entroterra, le sirene del porto… Ogni cosa, come la tessera di un puzzle, contribuisce a formare un quadro perfetto. L’illusione che la vita possa regalare frammenti di felicità… Le persone si tuffano nelle strade per gustare una notte speciale. Anche Luca si sente bene, ora. Di più, è pervaso da un’energia incredibile. Non riesce a star fermo. Deve camminare. Comincia a saltellare, a correre come un felino nelle tenebre. Divora gli isolati. Si muove verso Ovest.
“Mi sento un altro – confessa a se stesso, compiaciuto – Stanotte non vado a dormire. Starò sveglio, voglio godermi questa sensazione di forza. Sono libero, finalmente! Niente più obblighi, niente legami! Grazie al cielo anche mia moglie se n’è andata. Festeggerò a modo mio…”.
All’estremità della città vecchia, ai margini del porto, su un promontorio a picco sulla baia, dominato da un faro, si staglia un labirinto di casette fatiscenti. Un aggregato di stamberghe divenuto negli anni il regno della prostituzione a buon mercato. Un’umanità brulicante lo popola giorno e notte, 24 ore su 24. Le donne e i trans sostano sull’uscio delle casupole. Mettono in scena il teatro grottesco di una seduzione simulata. Adescano i passanti con la lingua guizzante, facendo l’occhiolino, offrendo le tette turgide di silicone, mostrando il culo e le cosce inguainate nelle calze a rete.
Luca si trova in mezzo a quei gironi infernali all’improvviso, senza rendersene conto. Ha galoppato senza fermarsi, senza prendere fiato. Ha percorso tutta la città vecchia per raggiungere il limite della costa, per affacciarsi sulla baia e ammirare i piroscafi illuminati che si allontanano sulla linea dell’orizzonte. Il mare è una tavola appena increspata da riccioli d’argento. La forza dell’uomo, la sua esuberanza lisergica, non si sono placate. Devono ancora trovare il loro sfogo. Quel bordello a cielo aperto offre tanto e di tutto. Luca rischia di confondersi. Vuole il meglio. La fortuna è dalla sua, quella notte. Yvonne – questo il nome d’arte – lo ferma mentre vaga tra i vicoli con lo sguardo allucinato. Luca trasale.
“Ehi, bel moretto, non ti piacciono le donne di classe?- L’autoironia è evidente – Mi hai guardato bene? Ti faccio conoscere il paradiso se vuoi!”.
Biondissima, con i capelli a spazzola e una lunga treccina che lambisce le spalle, due smeraldi al posto degli occhi, il naso alla francese ingentilito da un brillantino, labbra morbide dal taglio sensuale, la donna è estremamente provocante, sfiora appena la volgarità. Quel pizzico di volgarità che accende il sangue degli uomini. Quanto al resto, siamo alla commozione: il culo sodo, alto e a mandolino, a stento trattenuto da shorts di jeans lacerati qua e là; le anche morbide avvolte da calze autoreggenti di pizzo bianco; le caviglie snelle cinte da sottili fili d’oro; le scarpe a tacco alto di smalto bianco, le tette a coppa, prosperose senza essere esagerate, sostenute da un reggiseno a balconcino dello stesso colore delle calze. Uno schianto!
Il battito del cuore di Luca accelera, un calore gli infiamma le gote. E’ quello che cercava. Non esita un momento. “Sì, il paradiso o l’inferno. E’ la stessa cosa – risponde, vincendo ogni timidezza – Sei proprio un pezzo di fica! Lo sai?”. “Questo concetto non mi è nuovo – dice Yvonne chiosando con una risatina – Spero che tu sappia dirmi qualcosa di più originale… Entra, dai, che ci facciamo una bella chiacchierata, eh…! L’ironia trasuda dalle sue parole.
“Entro a un patto”.
“E quale?”, chiede la donna incuriosita. “Ti voglio per tutta la notte. Mille euro vanno bene?”
“Dici davvero?”.
“Tieni – gli allunga un fascio di banconote – tutto in anticipo. Mi fido”.
“Ehi, amico, sei fantastico! – replica la donna sfoggiando un sorriso abbagliante – Per queste anche due notti… E poi, sei carino. Lo sai?”
“Carino un cazzo! E’ il colore dei soldi che ti ha commosso”
“Sei ricco, non sei male, ma forse sei un po’ coglione. I soldi li ho presi, perché dovrei mentire? Tua moglie ti mente… “.
“Dai, non perdiamo tempo. Ce l’ho già duro”.
Quella notte Luca supera se stesso. Si scopa Yvonne in tutte le posizioni, per ore, concedendosi soltanto brevi pause. Anche lei si fa coinvolgere e dà il massimo. Gode tre volte.
“Chi sei? Non ho mai conosciuto un uomo come te. Sei stupendo!”, sussurra… poi una lacrima le riga il volto. L’alba li coglie stremati, in un dolce dormiveglia. Sembrano due amanti. Ogni tanto, le loro mani s’incontrano e s’intrecciano. I corpi, anestetizzati dal piacere, si lambiscono, si toccano. Il contatto dell’epidermide trasmette calore, che li rassicura, li intenerisce. Luca parla per primo: “Yvonne, devo andare. Questa notte con te non la dimenticherò mai. E’ stata una rivelazione. Ho ritrovato me stesso, dopo tanta oscurità. Non puoi capire, ma io ti sono grato”. La donna vorrebbe dire tante cose. Cose che non pensava più da parecchio, ma il pudore le impedisce di parlare, di pronunciare parole che possano suonare false, stonate. Tace, ma lo accarezza teneramente. L’intesa è perfetta, magica.
III
L’odore dell’asfalto bagnato gli invade i polmoni. Ha un sapore di libertà. La città è ancora addormentata. Dall’orizzonte sale un chiarore soffuso. L’oscurità si sta diradando. In giro non si vede un’anima. Luca si avvia a passo sostenuto verso il centro. Esce dalla città dei piaceri per addentrarsi nella città operosa, la città degli spettri. Lungo il cammino viene assalito dai pensieri. All’esuberanza sta subentrando gradualmente la ragione.
“Oggi, forse scopriranno il cadavere di Maddalena – si dice – La polizia inizierà le indagini. Non credo di aver lasciato tracce. Le mie impronte digitali non le conoscono. Nessuno sa che la frequentavo, né a casa, né in ufficio. Se non mi hanno visto gli inquilini, ho qualche speranza di passarla liscia. Ultimamente, non riescono a risolvere neanche un caso. Fanno un sacco di errori. Potrei prendere il primo aereo e abbandonare il Paese, ma suonerebbe come una confessione. No, aspetterò almeno una settimana. Poi, tranquillamente chiederò un anno di aspettativa per motivi di salute. Metterò in vendita la casa e partirò per il Brasile”. Si vedeva già disteso sulla spiaggia di Copacabana, intento a sorseggiare un mojito e a rimorchiare le fanciulle. Le congetture lo assorbono. Rimugina e cammina già da mezz’ora. Non si guarda intorno, rapito dai sogni di felicità. Intanto, la città sta dando i primi segnali di vitalità. Si notano gli omini verdi della nettezza urbana che svuotano i cassonetti. Alcune auto transitano con i fari accesi lungo i viali. Gli autobus del servizio pubblico sfrecciano semivuoti… Ma lui non ci fa caso.
“E Yvonne? Prima dipartire voglio andarla a salutare. Meravigliosa! Cosa penserà di me? Peccato non averla incontrata in un’altra occasione… Domani mi avrà già dimenticato”. Da una via laterale, come un killer nell’ombra, si materializza un bolide rombante. Il bestione avanza a velocità. E’ un tir, anzi un truck con il muso dipinto, affrescato. Reca un’effige grottesca, sormontata da caratteri gotici THE RED DEVIL. Luca attraversa la strada. Non ha il tempo di scansarsi. La belva d’acciaio lo investe in pieno. L’impatto è violentissimo. La testa si stacca di netto dal busto. Cade a una decina di metri e rotola sul selciato umido, fin sull’orlo di un tombino. Sembra una palla insanguinata, un reperto del museo degli orrori. I capelli intrisi di sangue, gli occhi vitrei, il colorito terreo chiazzato da macchie violacee. Ma sulle labbra livide è ancora stampato un sorriso. Per sempre.
Raoul Mendoza