Le nuove frontiere del pensiero: per essere smart c’è anche il Design Thinking
Una metodologia innovativa che può essere applicata anche alla dimensione urbana, in quanto realtà sistemica complessa, oltre che alla progettazione di prodotti e servizi di qualità
Si fa presto a parlare di “innovazione” – termine spesso abusato – senza comprendere talora che essa è prioritariamente e principalmente una questione cognitiva, ossia afferente alle forme e alle categorie del pensiero. In altre parole, per dirla filosoficamente, al modo in cui il Soggetto si rapporta all’Oggetto nel loro interconnesso divenire. Ecco perché uno sguardo ai nuovi paradigmi gnoseologici è sempre operazione auspicabile, anzi doverosa. Vale in tal senso l’affermazione di Herbert Simon, psicologo e sociologo, cui si deve, insieme ad altri studiosi, la fondazione della metodologia del Design Thinking:
“Chi fa business si occupa delle cose non come sono, ma come potrebbero essere. Il business deve lavorare sempre con un occhio al futuro, il suo centro non deve essere un concetto statico, deve bensì mutare nel tempo inseguendo l’innovazione. Il Design Thinking diventa quindi la risposta a questo bisogno di evoluzione, essendo un metodo di gestione aziendale innovativo e dinamico, che contrappone la propria visione incentrata sulle persone al triangolo tipico delle Business School, che vede il business al vertice superiore, mentre persone e tecnologia stanno alla base”.
Concetti indubbiamente suggestivi, ma da approfondire. Per saperne di più ci rifacciamo alla definizione standard disponibile su Wikipedia. “Il Design thinking è l’insieme dei processi cognitivi, strategici e pratici con il quale la progettazione di prodotti, edifici e macchinari è sviluppata da team di design creativo”. Tale approccio è stato codificato attorno agli anni 2000 in California dall’Università di Stanford. Centrato sulle persone, si basa sull’abilità di integrare capacità analitiche con attitudini creative. Uscito dagli studi di design, sta permeando vari settori. In particolare, la consulenza direzionale, la trasformazione digitale e la progettazione di software e interfacce. Negli ultimi anni il concetto di Design Thinking si è spostato verso l’innovazione di prodotti e servizi. In quest’ottica si è andato configurando come modello progettuale volto alla risoluzione di problemi complessi attraverso visione e gestione creative. Pertanto, l’applicazione del Design Thinking come leva innovativa può essere sintetizzata partendo da quattro principi di fondo:
Creatività
Predilige un approccio che fa leva sulla capacità delle persone coinvolte nell’essere creative. È infatti caratterizzato da strumenti e metodologie che supportano la generazione delle idee come l’How Might We.
Prototipazione
Velocizza i processi di Design Thinking perché consente di comprendere in maniera rapida punti di forza e debolezza delle nuove soluzioni da implementare. Questo principio è strettamente correlato a quello di user contribution: nel Design Thinking non ci si limita a definire i passi per immaginare un’idea o una soluzione, ma si arriva alla concreta realizzazione di tale idea mediante il confezionamento di un prototipo. Tali prototipi possono concretizzarsi in roadmap di sviluppo o addirittura in veri e propri modelli funzionanti.
User Contribution
Nasce dalla volontà di guardare ai bisogni degli utenti e aiutarli a risolverli. Per questo è fondamentale il ruolo che l’utente finale ricopre nel processo d’innovazione.A tal fine si fa largo uso di ricerche etnografiche e A/B Test.
Durata del processo
I progetti di Design Thinking hanno una durata che può variare nell’ordine di ore, giorni, mesi e anni, a differenza di altri approcci basati sul design, come il Design Sprint utilizzato da Google, che hanno una durata definita. Ciò perché il processo di Design Thinking predilige fasi e dinamiche divergenti, in cui si generano innumerevoli nuove idee attraverso lunghi momenti di brainstorming.
Se poi lo sguardo volge verso la dimensione urbana – realtà complessa per eccellenza, sottoposta a contraddizioni e tensioni crescenti anche per effetto delle massicce ondate migratorie che si riversano sulle aree avanzate del pianeta, trasformando le città in megalopoli difficilmente governabili – si comprende come l’applicazione del Design Thinking possa dare un valido contributo alla gestione innovativa di settori cruciali come l’ambiente, la mobilità, i servizi, la qualità della vita in generale. Ciò, a patto che i processi di coinvolgimento/partecipazione della cittadinanza siano promossi e istituzionalizzati. Purtroppo, attualmente, soprattutto nel nostro Paese, tali processi scontano un’eccessiva burocratizzazione, aggravata dalla scarsa conoscenza di metodi e modelli cognitivi innovativi, come lo stesso Design Thinking, da parte del personale interno alle pubbliche amministrazioni. Un antidoto a questa arretratezza culturale potrebbe essere la formazione, sia dei decisori che degli operatori addetti al rapporto col pubblico. Un percorso, però, tutto da immaginare, progettare e implementare con risorse e determinazione da parte della classe politica. La sfida è aperta. I prossimi anni ci diranno se le istituzioni sapranno affrontarla adeguatamente e vincerla.
Aldo Musci