L’Era digitale sta determinando una mutazione antropologica?
L’overdose tecnologica ha investito ogni aspetto dell’essere-nel-mondo, a partire dal nesso mente-cervello
E’ esplosa l’Era digitale. Tutti ne parlano, gli esperti la studiano, gli individui la sperimentano sulla propria pelle. La questione è aperta e sollecita una domanda cruciale: è in atto una mutazione antropologica profonda e inedita che sta cambiando coordinate e modalità dell’essere-nel-mondo, oppure si tratta di sconvolgimenti non dissimili da quelli che hanno segnato ogni passaggio epocale del divenire storico, come è accaduto con l’invenzione della scrittura o l’introduzione della macchina a vapore che ha dato il via alla prima Rivoluzione industriale, per non parlare della bomba atomica? Difficile e prematuro pervenire a conclusioni definitive. Una cosa è certa: una riflessione seria s’impone, considerando la molteplicità di elementi e fattori in gioco da valutare. Uno per tutti e prima di tutti: il nesso mente-cervello che definisce quello che in filosofia è noto come “principium individuationis”. Il resto viene a cascata.
Non c’è dubbio che sia in corso un bombardamento mediatico/digitale sulle persone, complice la Grande Ragnatela: diluvio iperinformativo, aggressione da social network, invasione da WhatsApp, colonizzazione da email… In altre parole, stress da iperconnessione che fa da contraltare al panico wifi. Sindromi veicolate da quello che oggi può definirsi lo strumento prediletto del Demonio, lo smartphone. Parafrasando si potrebbe dire: “Il diavolo si annida nei dettagli? No, nei dispositivi elettronici”. Tant’è che cominciano a manifestarsi fenomeni di rigetto verso i digital tools come il brivido della disconnessione, almeno in vacanza, il rimpianto del telefono a gettone, la nostalgia della televisione in bianco e nero. Qualcuno, non senza compiacimento, li chiama “arte del digital detox”. In realtà, mere forme di retrotopia galoppante. Comunque, al di là delle opinioni, ci sono i fatti. Secondo gli esperti di Cornerstone OnDemand, ad esempio, l’era digitale innesca obiettivamente una rivoluzione neurologica con conseguenze difficilmente stimabili. Intanto, in un recente rapporto hanno identificato 5 cambiamenti incisivi ai quali il nostro cervello ha dovuto adattarsi, con ricadute sui processi di apprendimento nella vita adulta e professionale, che di seguito proviamo a sintetizzare.
Il cervello è diventato impaziente. Abituato all’immediatezza dei social network e di Internet, il cervello crea la necessità di avere e sapere tutto subito, senza approfondire. L’aspettativa d’imparare molto in poco tempo è diventata un trend del tutto generale, ma ciò che si apprende rapidamente scivola via dalla mente con la stessa velocità. L’apprendimento sul lungo termine, fonte di un sapere strutturato e sedimentato, è la vera sfida del futuro, anche per la formazione.
Mente meno ritentiva. Trionfo della “memoria esterna”, rispetto a quella personale. I nativi digitali non hanno più bisogno di ricordare dati, perché tutto è immagazzinato in Rete in quanto serbatoio senza fondo depositario del sapere universale. La capacità di memorizzare non è scomparsa, ma si è senz’altro indebolita.
Imparare a reimparare. Se c’è un cambiamento che temiamo sul posto di lavoro è l’automazione. Sarà un robot a fare il nostro lavoro rendendo superfluo l’apporto umano? Per evitare questa tetra prospettiva occorre scommettere sulle soft skill e sulle competenze sociali, che ci differenziano dalle macchine e che non diventeranno obsolete, come invece può avvenire con le conoscenze tecniche.
Più flessibilità, intesa come capacità di adattarsi a nuovi bisogni di apprendimento e formazione. Il must è possedere un cervello allenato per essere flessibile, aperto e agile. Così sarà più facile adattarsi al cambiamento e interiorizzare rapidamente le nuove discipline e i prodotti che ne scaturiranno.
Sovraccarico cognitivo. Il sovraccarico d’informazioni sul nostro cervello riduce la capacità di concentrazione e accresce lo stress. In effetti, la digitalizzazione rende più facile l’accesso alle informazioni consentendo di lavorare ovunque e con qualsiasi dispositivo: un fatto positivo, purché si sappia capire quando è il momento di staccare.
A questo punto, osservate le dinamiche tendenziali che premono sull’assetto cognitivo del cervello individuale e collettivo, altri quesiti si affacciano all’orizzonte in una spirale senza fine, riconducibile tuttavia alla madre di tutte le domande: siamo alle soglie dell’avvento dell’Oltreuomo nietzschiano – inteso come soggetto evoluto e potente in grado di padroneggiare il mondo in virtù di una conoscenza smisurata – oppure l’Era digitale produrrà una progressiva decadenza del genere umano – alienato e disumanizzato – gravida di un caotico e tragico ending?
Aldo Musci