Massimo Lugli: “Cronaca e fiction, un binomio perfetto”
“Il Giallo Pasolini. Il romanzo di un delitto italiano”. In libreria l’ultima fatica del giornalista/scrittore che ha reinterpretato con successo la crime novel tricolore
Una tiepida giornata d’autunno. Un cielo fiammingo, con il sole che occhieggia fra gli interstizi di una teoria di nuvoloni orlati di nero. Una Roma segnata dal degrado ma ancora capace di qualche suggestione. Sono la cornice di un evento per noi speciale: incontrare Massimo Lugli. L’occasione è la pubblicazione del suo ultimo romanzo: “Il giallo Pasolini…”. L’appuntamento è di fronte a una stazione della Metro. Lui è puntuale. Ci vede e sorride. Gentile e affabile come sempre, ci saluta calorosamente. E’ come incontrare un vecchio amico che hai lasciato la sera prima, mentre in realtà sono passati parecchi mesi. Una sensazione piacevole che ci mette a nostro agio. Ci spostiamo rapidamente in un caffè poco distante. Ci sono i tavolini fuori del locale. Si sta ancora bene all’aperto, soprattutto in un giorno di festa, quando il traffico non è intenso e frotte di turisti sciamano nelle strade poco affollate. La conversazione parte a ruota libera, sciolta e rilassata, ma ben presto si configura come un’intervista vera e propria.
Come mai dopo tanti anni di cronaca nera, hai deciso di darti alla letteratura?
Secondo me la cronaca nera è il settore del giornalismo più letterario che esista. Sono nato con pruriti da scrittore. Fin da sedici anni avevo questa pulsione. Però dovevo pur mantenermi e con la scrittura non si riesce. Galeotto fu un libro di Vargas LLosa “Conversazione nella cattedrale”, nel quale si narra che il figlio di un uomo politico implicato nel golpe in Cile decide di fare il cronista di nera. Fu una folgorazione. Ho cominciato così. La mia famiglia disapprovava, ma io sono andato avanti lo stesso. La cronaca nera è intrisa di grandi passioni: violenza, sangue, morte, dolore, gelosia, vendetta… Insomma, vita e malavita. Letteratura allo stato puro. Il mio primo romanzo totalizzò ben 25 rifiuti, ma quando Newton Compton lanciò la collana “Live”, mi chiese se avevo un inedito. Glielo diedi e il libro vendette 200mila copie. Allora sono partito e non mi sono fermato più…
La Newton Compton è diventata la tua casa editrice storica, ma hai mai pubblicato con altri o hai intenzione di farlo?
Dopo la Donzelli che fu agli esordi, mi sono trovato benissimo con la NC. Ormai è quasi una famiglia per me. Ho un debito di riconoscenza, mi hanno fatto diventare scrittore… E poi mi piace la loro politica commerciale: i libri sono fatti benissimo, però costano poco, così la gente può avvicinarsi alla lettura.
Dopo 20 romanzi esce quest’ultimo “Giallo Pasolini”. Su questo delitto abbiamo sentite tante illazioni, supposizioni, ipotesi, in questi anni. Hai qualcosa da aggiungere in merito?
Dal punto di vista della verità nascosta il libro non aggiunge nulla. I lettori non troveranno tra le pagine del romanzo verità inedite e sconvolgenti. Ma io ho voluto raccontare tutte le contraddizioni e le incongruenze della vicenda. E per farlo ho utilizzato il mio personaggio/alter ego principale, Marco Corvino, che fa – guarda caso – proprio il cronista di “Paese Sera” nel 1975, anno della morte di Pier Paolo Pasolini. Lui indaga da solo, oltre le direttive del giornale, rischiando in proprio. E scopre quello che sancisce la prima sentenza del tribunale minorile, presieduta dal fratello di Aldo Moro, che mise nero su bianco sostenendo che il presunto colpevole, Pino Pelosi, non avesse agito da solo, bensì in compagnia di ignoti mai individuati.
Quindi tu accrediti l’ipotesi che ci sia stato un agguato di stampo neofascista?
No, non penso questo. Accredito l’idea che Pelosi non era solo, probabilmente era un’esca. Non penso a un complotto. Sono d’accordo con l’avvocato Marazzita, che mi ha aiutato a scrivere il romanzo. Lui dice: “Prima accertiamo chi c’era quella notte, poi cerchiamo i mandanti”. Non ho fatto fantacronaca. Del resto Pino la Rana ha detto tutto e il contrario di tutto. Prima disse che era solo, poi cambiò più volte versione. Era un povero disgraziato… che iniziò a vendere interviste.
Perché non si è mai voluto andare fino in fondo per chiarire il caso, come se si trattasse di un tabù scoprire la verità?
Teniamo presente il contesto storico, molto travagliato, conflitti, terrorismo. C’era un colpevole e andava bene così a tutti perché era un personaggio scomodo, a destra come a sinistra. Del resto, la parte civile si ritirò dopo la prima sentenza. Comunque, alcuni fatti inconfutabili sono stati acclarati:
- Pasolini era forte e robusto, come poteva essere sopraffatto a mani nude da un mingherlino come Pelosi?
- Pelosi non ha tracce di sangue sui vestiti e non ce ne sono sul volante dell’auto che lui ha guidato per allontanarsi dalla scena del delitto;
- Dentro l’auto si rinvengono un plantare e un maglione verde. A chi appartenevano?
- Ci sono impronte di altri soggetti sulla scena del crimine;
- Viene trovato, sempre sulla scena del crimine, un anello del Pelosi, di cui lui parla agli inquirenti prima ancora di essere accusato di omicidio;
- Il tragitto della macchina punta sul corpo della vittima, non sulla via di fuga. Ciò significa che Pasolini doveva morire. Delitto premeditato? Chissà.
In sintesi, l’ipotesi più probabile è che il Pelosi abbia dato appuntamento ad altri all’Idroscalo. All’inizio comunque erano soli, lui e Pasolini, anche se al ristorante “Al Biondo Tevere” la proprietaria dice che lo scrittore era accompagnato da un “biondino”. I misteri sono tanti e rimangono irrisolti. E nessuno vuole riaprire il caso… Ho un grande rimpianto, se non fosse scomparso prematuramente, avrebbe potuto dare ancora tanto, come intellettuale, come artista, regista e scrittore.
Tornando alla tua carriera di cronista, come hai vissuto la strada, la città, l’odore della notte?
Era la mia gioia. Ho passato ore sulla scena del crimine, a parlare con i testimoni, i familiari delle vittime e i poliziotti che indagavano. Non sono stato un giornalista di scoop, anche se ne ho fatti. Mi piaceva andare in borgata, immergermi nel tessuto urbano, nei quartieri, nella fauna sociale che li animava. Ecco, di nuovo, la cronaca come letteratura…
Com’è oggi, secondo te, la situazione criminale della città?
E’ cambiata completamente la geografia criminale. Oggi, è tutta droga: Roma consuma 1 milione di euro per gli stupefacenti al giorno. Ruota tutto intorno a lì. Però non ci sono grosse organizzazioni egemoni come una volta. Piccoli gruppi malavitosi intossicano i quartieri, le periferie, a macchia di leopardo. Non sussiste, di conseguenza, un vero e proprio controllo criminale del territorio. Pertanto, gangster improvvisati possono sparare e ammazzare anche per futili motivi, come è accaduto recentemente. Manca un’autentica pax mafiosa, cui si aggiunge una carenza strutturale delle forze dell’ordine, in termini di mezzi, di organici e anche di procedure operative standardizzate per contrastare il crimine diffuso e organizzato.
Ultima domanda: sussiste un livello di corruzione nella polizia?
Sono convinto di no. Sostanzialmente, polizia e carabinieri sono organizzazioni sane. Possono esserci delle mele marce, ma si tratta di eccezioni che confermano la regola. In linea di massima, c’è da parte di tutti gli uomini delle forze dell’ordine dedizione, impegno e lealtà, corredati da un forte spirito di corpo.
Grazie massimo. In bocca al lupo per il libro e per la tua carriera.
Aldo Musci/Brunella Marcelli