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Operatori anti-mafia nella task force Takuba nel Sahel

24 Febbraio, 2021

L'esperienza italiana anti-crimine è invidiata all'estero, un dato di fatto e un punto di partenza per ogni forma di cooperazione anti-jihadista

L’esperienza italiana anti-crimine è invidiata all’estero, un dato di fatto e un punto di partenza. Oltre a un addestramento militare sul campo, previsto dalla missione, potrebbe coesisterne uno parallelo da proporre per permettere di far raggiungere competenze sempre più elevate alle forze investigative dei paesi coinvolti, costretti a convivere quotidianamente la sinergia tra criminalità e jihadismo. L’Italia è stata invitata, pertanto, a unirsi alla Task Force Takuba. Obiettivo primario offrire addestramento sul campo (quindi in prima linea se occorre) alle varie forze governative del Sahel contro le fazioni jihadiste. Settore chiave non potrà che risultare il Mali, dove, per operare con efficacia, occorre un autentico scambio informativo e un approccio d’Intelligence basato sulle anti-interconnessioni che vede spesso come attori alcune realtà autoctone tribali, organizzazioni jihadiste e strutture criminali di vario livello e settore geografico-globale. Oltretutto il Mali ha messo in luce un ulteriore delicato passaggio: l’abilità jihadista di muoversi in un conflitto sovrapposto. Se l’Italia parteciperà attivamente alla missione Takuba (ripetiamo rivolta al Sahel) con i suoi operativi (comprese le Forze Speciali) potremmo ottenere dei vantaggi che un domani diventerebbero strategici a condizione di non essere semplicemente una presenza passiva e transitoria atta a dare un’ulteriore tonalità d’internazionalità alla presenza sul campo di un alleato storicamente coinvolto.
Ora più che mai dovrà essere una guerra con forti basi d’Intelligence dell’anti-interconnessione perché, come evidenziato nell’ultimo Rapporto OMCOM, nel Sahel e soprattutto in Mali dovrebbe trasferirsi e operare attivamente quella che abbiamo definito l’Intelligence jihadista nordafricana…grande nemica dell’Europa.

Come OMCOM e Fondazione Antonino Caponnetto, che da anni dedicano i propri sforzi alla Ricerca e Analisi sui fattori criminali nazionali-internazionali e pionieristicamente da tempo anche alle Interconnessioni con altre realtà di varia matrice (compresa quella jihadista), poniamo un quesito: non risulterebbe vantaggioso, sempre se non sia in corso una applicazione simile, ampliare il ventaglio d’azione e aggiungere operativi del settore antimafia (Ros, Dia e altre strutture delle Forze investigative abilitate) al personale italiano in Sahel?
Oltre che un valore aggiunto ideale per il contesto, si tramuterebbe in un vantaggio derivante dalla possibilità di allargare i nostri parametri investigativi e HUMINT in una collaborazione potenzialmente permanente sul campo con i paesi interessati?

L’esperienza italiana anti-crimine è invidiata all’estero, un dato di fatto e un punto di partenza. Oltre ad un addestramento militare sul campo, previsto dalla missione, potrebbe coesisterne uno parallelo da proporre per permettere di far raggiungere competenze sempre più elevate alle forze investigative dei paesi coinvolti, costretti a convivere quotidianamente la sinergia tra criminalità e jihadismo. Questo permetterebbe non solo una presenza su settori chiave per traffici e minacce rivolte verso il Mediterraneo e l’Europa ma anche supportare, in futuro, le analisi su “raccolta informazioni” ed elaborazioni sempre più efficienti e in linea con i più elevati parametri qualitativi.
Necessaria una precauzione: alcune strutture locali dei settori interessati possono essere di facile infiltrazione da parte della criminalità e di gruppi jihadisti e quindi occorre una precisa scelta di personale prima di dare avvio a scambi operativo-investigativi di alto profilo. Non dobbiamo permettere che personale da noi addestrato sia un domani una preziosa risorsa della parte rivale.

Salvatore Calleri – Pier Paolo Santi, Fondazione Antonino Caponnetto

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