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Senza filtri nel cuore della politica americana (e mondiale).

29 Maggio, 2020

Intervista a Claudio Taddei, politologo, scrittore e collaboratore di diversi think thank, esperto di cose americane.

Molte delle vicissitudini del mondo ruotano attorno alle politiche delle Stati Uniti; oggi più che mai, alla luce della pandemia del Covid-19, abbiamo bisogno di capire bene le dinamiche esistenti nell’amministrazione Trump. Per entrare dentro l’architettura della politica statunitense abbiamo colloquiato con il politologo Claudio Taddei che per anni ha vissuto e lavorato negli States. Dal 1982, infatti, collabora con diversi think thank internazionali approfondendo la politica interna ed estera degli Usa. Sono diversi, fino ad oggi, i libri che Taddei ha dedicato alla Casa Bianca. Indubbiamente, un richiamo innovativo e di grande respiro rispetto al contesto esistente, a volte troppo allineato verso posizioni basate su pregiudizi ideologici. L’ultima sua fatica letteraria, da poco nelle librerie, è: “La guerra a Trump come patologia dell’Occidente”, per le edizioni Robin. Nella nostra conversazione con Claudio Taddei, non si può non cominciare dal chiedere lumi relativamente ai rapporti con la Cina.  

Come si evolverà, a suo parere, lo scontro geopolitico globale, soprattutto fra USA e Cina, per effetto della pandemia Covid-19, la cui origine appare oltremodo “incerta” e “sospetta”?

Riguardo alle origini della pandemia è necessario distinguere ciò che è incerto da ciò che non lo è. L’Istituto di virologia di Wuhan aprì nel 2015 un laboratorio per la ricerca dell’arma biologica (laboratorio di “livello 4”, di cui ne esistono pochi al mondo: conduce la ricerca sui virus più letali). E’ possibile che il virus di Wuhan sia uscito, tramite una persona infetta, da tale laboratorio. Vi è qualche indicazione: nell’ottobre 2019 tutta la zona intorno all’Istituto fu chiusa, il lockdown fu totale. È possibile che il virus sia uscito di lì, ma non è certo. Quello che invece è certo, è che un medico cinese, Li Wenliang, ai primi di dicembre intendeva pubblicare sulla rivista scientifica The Lancet una descrizione dell’epidemia in corso a Wuhan, ma fu fermato dal Governo e costretto a dichiarare che si trattava di “dicerie” (in febbraio Wenliang morì per il virus, si afferma). È certo che tra dicembre e gennaio altri sei medici cinesi, che avevano parlato dell’epidemia sui social, furono arrestati e messi in prigione. Altre cose sono certe. Alla fine di dicembre il governo di Taiwan denunciò all’OMS il carattere contagioso dell’epidemia, ma la direzione dell’OMS accolse la richiesta di non parlarne arrivata dal governo cinese. Dai primi di gennaio il governo cinese cancellò i voli da Wuhan (una città di 8 milioni di abitanti) verso altre città cinesi, ma li lasciò aperti verso Milano, New York, Los Angeles, Londra. Tra dicembre e gennaio, con quei voli decine di migliaia di persone (viaggiatori per affari, studenti e turisti cinesi) arrivarono in Europa e negli USA. In gennaio il governo cinese acquistò negli USA centinaia di milioni di mascherine e altro materiale sanitario, benché ne sia il massimo produttore al mondo (in seguito poté vendere quel materiale a un prezzo dieci volte superiore); altre mascherine e altro materiale arrivarono in Cina in regalo, in febbraio, dall’Italia e dall’Europa. Il Governo cinese ammise l’esistenza dell’epidemia il 20 gennaio, ma ancora non ne indicò la contagiosità. Il governo cinese respinse l’offerta di Trump di inviare medici americani per studiare l’epidemia (la prima offerta è del 6 gennaio, in un colloquio telefonico con il presidente cinese Xi). L’elenco delle cose certe può proseguire. La conclusione è che il Governo cinese consentì intenzionalmente l’uscita del virus dai confini cinesi. Non è certo che Pechino abbia mandato in Occidente un’arma biologica elaborata in laboratorio, ma è certo che vi abbia mandato un virus, forse originato dalle disgustose pratiche alimentari dei mercati cinesi.

Alla luce di questa grave responsabilità, che non può restare senza conseguenze, il confronto geopolitico globale tra USA e Cina subisce un’accelerazione. Di già, nei tre anni precedenti, Trump aveva cambiato il modo in cui gli ambienti USA qualificati guardano alla Cina, dopo che per due decenni i presidenti USA avevano considerato la crescita e gli interessi cinesi come una priorità. L’espansionismo commerciale e territoriale della Cina è di tali dimensioni e portata, che l’Occidente dovrà prendere decisioni e impostare una resistenza. Le nuove “Vie della seta” che Pechino ha tracciato dal 2012 in poi non sono soltanto uno strumento mercantile, bensì di controllo delle opinioni pubbliche, delle infrastrutture e delle comunicazioni, e dunque di ingerenza politica.

Nei media europei si parla molto del debito USA “comprato” dalla Cina. Come s’integra questo singolare rapporto Cina – Usa nelle decisioni di politica estera americana? Il riferimento può essere quello legato al caso Oms di questi ultimi giorni.

Il debito federale USA detenuto dalla Cina è di 1,14 trilioni di dollari, su un debito totale di 23 trilioni di dollari, adesso in preoccupante crescita a seguito della pandemia. L’importo detenuto dalla Cina sottolinea il legame tra le due economie, ma non è un vincolo allarmante. È piuttosto un fattore di stabilità, perché la Cina è interessata alla solvenza del suo debitore ed è interessata alla disponibilità di dollari che quel debito le procura con scadenze regolari. E non mi sembrano realizzabili le ipotesi avanzate negli USA da qualche politico di cancellare il debito cinese come risarcimento per i danni della pandemia. Ciò che è importante, al di là degli acquisti cinesi di debito USA, è il decoupling chiesto in America da voci autorevoli, cioè la separazione tra le due economie e tra le catene di produzione dei due paesi. I programmi di sostegno degli USA a ogni aspetto della crescita economica cinese, iniziati oltre 40 anni fa con la presidenza Carter, sono divenuti un’assurdità storica. Gli USA non possono dipendere dalla Cina per la produzione di merci strategiche, come l’acciaio e l’alluminio (da qui la correzione di Trump, con le relative tariffe), né di minerali rari, né di medicinali, tra cui antibiotici (dipendenza, quest’ultima, venuta in luce durante la pandemia). Gli USA devono riportare la base industriale e manifatturiera in patria. E questo è un grande cambiamento che Trump ha iniziato.

Per quanto riguarda l’OMS, si tratta di un’agenzia, come altre dell’ONU, la cui direzione è asservita alla Cina, benché gli USA ne siano di gran lunga il maggior finanziatore (400 milioni di dollari l’anno). Il direttore dell’OMS viene da un paese africano che è un cliente della Cina. Abbiamo sentito affermare che sia lui, sia altri dirigenti dell’OMS, siano sul libro paga di Pechino. Vi sono evidenze che nella fase iniziale della pandemia l’OMS coprì le menzogne di Pechino. Ancora il 14 gennaio l’OMS dichiarava, e lo pubblicava sul proprio sito, di avere notizie dalla Cina che il virus non fosse “trasmissibile tra persone”. La pandemia fu dichiarata dall’OMS soltanto l’11 marzo. Si tratta di responsabilità molto gravi. Benvenuta è la sospensione degli aiuti decisa da Trump. Se dall’OMS non viene un’ammissione di responsabilità e se la direzione non cambia linea, non si può che auspicare che la sospensione divenga definitiva.

Come valuta complessivamente la politica estera condotta dall’amministrazione Trump in questa fase storica?

Con la presidenza Trump la politica estera USA sta vivendo un recupero di lucidità. I ritardi su temi importanti e i freni conseguenti al controllo Democratico della Camera (ma anche alla presenza dei Repubblicani “Mai con Trump”) che hanno condizionato la politica interna, hanno avuto peso minore in politica estera. Un ritardo motivato vi è nel ritiro delle truppe dall’Afghanistan, e dunque nel mettere fine alle imprese, lesive per l’America profonda, di costruzione di nazioni altrui. L’insuccesso maggiore, negli ultimi tempi attenuato, è l’assenza di quel dialogo con la Russia che era nei programmi di Trump; ma ciò era inevitabile a causa delle false accuse di “collusione” con Putin che hanno investito Trump, ed anche a causa di una certa bipartisan russofobia di Washington. Cambiamenti di grande significato Trump ha portato cancellando il disastroso trattato obamiano con l’Iran e le deliberate concessioni, anche finanziarie, di Obama all’Iran. Con il ripristino delle sanzioni e una cauta ma non timorosa presenza militare sui confini iraniani, Trump ha messo alle corde il regime iraniano. Positiva, e a volte splendida, è stata la ripresa di alleanza e amicizia con Israele e (dopo i dispetti e le invadenze elettorali di Obama) con il governo Netanyahu, che ha portato al riconoscimento di Gerusalemme capitale e, finalmente, dei confini israeliani sulle alture del Golan. Un successo è venuto anche dalla disfatta del califfato ISIS in Medio Oriente, e dal successivo ritiro di truppe USA dal confine turco-siriano.

La grande svolta è però quella verso la Cina. Dopo un lungo e difficile negoziato, l’imposizione di tariffe da parte di Trump ha condotto alla prima fase di un accordo commerciale che, se applicato, ridurrà lo sbilancio commerciale USA con la Cina, che da oltre 20 anni significa un cospicuo trasferimento di ricchezza in favore della Cina. Inoltre, la denuncia da parte del Governo Trump dei furti cinesi di tecnologia e di proprietà intellettuale, anche questi in atto da decenni e che hanno condotto alla sottrazione di avanzati programmi militari e di cruciali dati civili, e la denuncia delle condizioni, con il forzato cedimento di know-how, imposte alle società occidentali che operano in Cina, hanno chiarito i termini del mercantilismo cinese. Sul piano geostrategico, dove Pechino da un decennio allarga i piani di dominio della regione Asia-Pacifico, con gli strumenti della presenza finanziaria e di un riarmo militare senza limiti di spesa, e dove negli anni di Obama la Cina ha stabilito un’egemonia militare nei Mari della Cina del Sud e dell’Est (che sono acque internazionali), Trump ha portato gli USA a una dottrina di sicurezza nazionale che vede nella Cina una minaccia strategica, oltre che un predatore economico. Oggi, nel dopo-pandemia, mentre hackers cinesi attaccano i computer dei laboratori USA che lavorano al vaccino per il virus di Wuhan, mentre inviati di Pechino comprano a prezzi di svendita negli USA e in Europa società tecnologiche, mentre la versione cinese del Grande Fratello si prepara ad applicarsi sui server di Huawei per il 5G, mentre il governo cinese abbatte l’autonomia di Hong Kong infrangendo gli accordi del 1997 con la Gran Bretagna, Trump e i suoi elettori sono per gli USA e per l’Occidente l’unica garanzia che il cedimento non è la soluzione.

In tal contesto, che ruolo dovrebbe ritagliarsi la malmessa UE?

La UE può scegliere di aderire al progetto del Governo di Pechino di un dominio cinese globale, con accordi commerciali e con cessioni di sovranità. Oppure può ricordarsi della propria identità culturale e storica, e in quel caso dovrebbe confermare e rinsaldare l’alleanza con l’attuale governo USA (un diverso governo negli USA cambierebbe gli scenari). Quello che la UE non può fare è non scegliere, tenere una linea di opportunismo, tenersi ai margini della storia e attendere gli eventi. La necessità di una scelta risalta oggi davanti alle responsabilità del Governo cinese per la diffusione del virus di Wuhan. Se la UE non chiede conto a Pechino di quanto è accaduto, si adegua al peggio della propria burocratica storia recente. Certamente, per chiedere conto a Pechino si deve essere pronti a pagare qualche prezzo: minore presenza delle imprese europee in Cina, minori vendite, minori investimenti cinesi in Europa, meno affari. Ma l’Europa non deve affidare ad altri la propria stabilità economica. E non deve avere paura. L’Europa ha eccellenze di prodotti industriali e agricoli. Ha riserve di tecnologia. Ha esperienza e genialità. Ha un enorme retaggio di cultura, di cui la Cina è avida. Non è detto che sia l’Europa a dover temere una correzione.

Come viene visto negli Usa il ruolo di leadership della Germania e quello della Francia?

Il governo Trump considera la Germania il paese leader della UE, e al governo Merkel ha rivolto critiche esplicite. Ha chiesto un rinnovo dei trattati commerciali, che da due decenni consentono alla UE di applicare tariffe su alcuni prodotti USA: tariffe non alte, ma superiori a quelle applicate dagli USA. E ha chiesto un maggiore contributo della Germania e degli altri paesi europei alla Difesa comune, correggendo lo sbilancio che ha portato gli USA, dal 1949 in poi, a farsi carico del 75% delle spese per la NATO. Sulla prima richiesta, relativa al commercio, si dovrà arrivare a un nuovo trattato, in cui le due parti si ricordino di essere alleati e diano a ciò la priorità. Sulla seconda richiesta, le spese per la Difesa, Trump ha ottenuto dalla Germania e da altri paesi europei impegni a medio termine (con il contributo del 2% del PIL da raggiungere nel 2024) e maggiori versamenti immediati alla NATO. Dove le pressioni di Trump non sono condivisibili, è nella richiesta alla Germania di rinunciare al Nord Stream2, il secondo gasdotto che porta sulla costa tedesca il gas russo attraverso il Baltico. Il gas e il petrolio russo sono benvenuti in Europa, assai più di quelli che provengono dal Medio Oriente. Sono un fattore di integrazione e di stabilità. Sono economici, come non lo può essere il gas liquido che arriva dagli USA su navi che attraversano l’Atlantico. I timori di dipendenza dalla Russia, di cui ha parlato il governo Trump, sono esagerati e possono apparire strumentali. Quanto alla Francia, il governo Trump non le assegna un ruolo di preminenza politica, e predilige piuttosto i legami storici, le relazioni sociali e l’interscambio di prodotti dell’agricoltura.

L’Italia è in che modo è attenzionata dall’amministrazione Trump? ha perso il proprio peso strategico?

Verso l’Italia Trump ha mostrato disattenzione. Il motivo non va cercato nella collaborazione gregaria del governo italiano nel 2016 (governo Renzi) alla fase iniziale della cospirazione anti-Trump condotta dai vertici della CIA e dell’FBI di Obama. Collaborazione che coinvolse modeste attività dei servizi italiani nel mettere a disposizione figure equivoche di professori (il maltese Mifsud), che avrebbero dovuto compromettere figure periferiche della squadra di Trump (il giovane greco Papadopoulus). Il motivo della disattenzione di Trump va invece cercato nell’errore di qualche suo consulente nel non distinguere l’Italia dal governo italiano insediatosi nell’estate 2019. Di conseguenza, qualche parola di amicizia di Trump – parole che peraltro Trump dispensa con larghezza e che rientrano nel suo carattere – è stata strumentalizzata e letta in Italia come consenso verso il governo Conte. Non è così, è solo disattenzione. In ogni caso la simpatia e la disponibilità americane verso l’Italia rimangono grandi, e non soltanto per la posizione geografica e dunque strategica dell’Italia. Hanno peso i legami etnici e una radicata connessione culturale, che coinvolge la letteratura, il cinema, l’architettura e in genere le arti. Se di nuovo vogliamo relazionarci con l’oggi, cioè con il dopo-pandemia, poiché il governo Trump insegue iniziative, anche di intelligence, che potrebbero coinvolgere gli USA, la Gran Bretagna, l’Australia, per opporre un fronte comune all’attivismo in Occidente del governo cinese, l’Italia, paese molto colpito dal virus di Wuhan, ha un’occasione di prendere parte a quelle iniziative, e in tal modo divenire una guida per una UE che invece spera di non prendere posizione. Temo che ciò non accadrà con l’attuale governo a Roma.

A proposito di pandemia e di come i vari stati si stanno adoperando. Negli States vediamo che Trump, attraverso il rito del social preferito, twitter, loda incessantemente il proprio operato per sconfiggere e prevenire questa malattia. Ecco, per esempio, che Donald sostenga che gli Usa siano al primo posto per tamponi effettuati, salvo poi essere smentito dalla ricerca Our World in Data della Oxford University che posiziona gli americani al 15 posto, con 35,75 tamponi ogni mille abitanti, che significa, in parole povere, un tampone effettuato ogni trenta. Ora di questi esempi in cui Trump viene costantemente contraddetto ne abbiamo registrati diversi. Penso, immediatamente, ai contraddittori con Fauci. Che c’è di vero in tutto questo? Esistono complotti contro Trump o è un certo razzismo verso tutto ciò che rappresenta?

Sul fatto che contro Trump esista un complotto, e diciamo pure un articolato colpo di stato politico-mediatico, anche se non militare, non vi sono dubbi. Ne ho chiarito i lineamenti nel mio libro La guerra a Trump come patologia dell’Occidente. Sul fatto che la pandemia, e i suoi rapporti con l’economia, siano usati come l’ultimo, in ordine di tempo, strumento operativo del colpo di stato, anche non vi sono dubbi, benché la macchinazione non sia compresa da gran parte dell’opinione pubblica. Possiamo comunque prescindere da ciò nel considerare le cifre relative alla pandemia. Spesso usate per diffondere panico e confusione, cifre come quelle dei contagi o dei tamponi non hanno valore assoluto, ma relativo alle iniziative prese, all’accuratezza dei sistemi, alle condizioni della società. Anche per la cifra più resistente alle analisi, quella dei morti, spiegazioni sono dovute. Per esempio, negli USA secondo dati del CDC (Center for Desease Control), dunque dati ufficiali, le morti dal primo gennaio al 30 aprile 2019 furono 973 mila; negli stessi mesi del 2020, 991 mila. L’aumento di 18 mila morti non corrisponde al numero di vittime indicato per la pandemia, che è molto più alto. Forse non tutte le morti sono causate dal virus di Wuhan. Ancor più prive di valore assoluto sono cifre come quelle della pubblicazione da Voi citata (che è finanziata da Bill Gates). Ci sono molte cose riguardo alla diffusione selettiva e alla mortalità selettiva del virus di Wuhan che ancora non sappiamo. Anche in Italia ci hanno condizionato con lezioni fornite da supposti esperti, che in realtà non erano tali (di certo non è una voce credibile il consulente del governo italiano Ricciardi; dubbi vi sono anche riguardo al virologo Burioni ed altri). Lo sbandamento istituzionale e sociale è stato notevole. A non aderire allo sbandamento sono stati i medici che hanno combattuto davvero il virus in prima linea. Negli USA i modelli a lungo seguiti dagli esperti e dagli epidemiologi che hanno guidato la task force della Casa Bianca, i dottori Fauci e Birx, erano sbagliati. Si era giunti a prevedere un milione di morti, poi duecentomila. Riguardo in particolare a Fauci (di cui alcune voci indicano un accentuato interesse, tra le varie ricerche sul vaccino, per quella promossa da Bill Gates), il contrasto con Trump è una delle tante montature dei media. Di certo vi è che Fauci è stato fin troppo cauto riguardo all’idrossiclorochina, vecchio farmaco antimalarico usato con successo in tre continenti per il virus di Wuhan, come prevenzione e come antisintomatico. Fauci definì “scomoda” la chiusura delle attività negli USA: termine alquanto riduttivo, adeguato a un funzionario che percepisce una lauta pensione. Oggi Fauci ammette che “la chiusura può avere conseguenze non volute, anche per la salute, tra cui i ridotti screening per i tumori”. Alla Casa Bianca siamo alla vigilia della liquidazione della task force per l’epidemia, e del passaggio a un’altra fase, con altri consulenti.

Spesso nei media troviamo chi è contro e chi è a favore della dottrina Trump, mai abbiamo evidenziato l’esistenza di una obiettiva visione di ciò che effettivamente è il trumpismo. Si può visionare una critica senza preconcetti su Trump?

Una critica senza preconcetti è possibile e necessaria, e l’ho esercitata nel mio libro citato. Purtroppo tale critica è assente nei media (o nel mondo dello spettacolo, o nelle università) negli USA, e di conseguenza è assente nei più diffusi media italiani, che riportano quanto leggono sul New York Times o quanto sentono alla CNN. Le conseguenze sull’opinione pubblica sono nocive. In questo momento, dopo complotti proseguiti per anni come la truffa dell’indagine Mueller e il falso impeachment, assistiamo a una sistematica, turpe campagna di disinformazione per usare la pandemia a due scopi: mettere sotto accusa il ruolo di Trump e distruggere l’economia fino alle elezioni di novembre.

Riguardo al primo scopo, per quanto era in suo potere Trump ha operato con totale correttezza e dedizione per arginare la pandemia. Alla fine di gennaio, contro il parere dei suoi consulenti virologi, Trump bloccò i voli da e per la Cina, e introdusse la quarantena per chi ne arrivava, attirandosi dai leader Democratici accuse di “razzismo” e “xenofobia”. Ai primi di febbraio, nel discorso sullo “Stato dell’Unione” Trump chiese finanziamenti della Camera (allora modesti: tre miliardi) per misure anti-pandemia, e l’impresentabile Pelosi rispose con impudenza, stracciando la propria copia del discorso. A metà febbraio Trump costituì un’efficiente task force anti-pandemia, e vi mise a capo il vicepresidente Pence. A fine febbraio bloccò i voli con la UE e fermò gli ingressi di chiunque fosse stato in Iran (dove l’epidemia era in corso). In marzo, quando l’epidemia si diffuse negli USA e 36 Stati imposero il lockdown, Trump si prodigò, con attenzione quotidiana ai dettagli delle azioni anti-epidemia, persino accettando (cosa della cui necessità dubito) indecenti aggressioni nelle quotidiane conferenze stampa. Quando a New York (dove, oltre alla cattiva preparazione ospedaliera, il sindaco aveva preso pessime decisioni riguardo al trasporto pubblico) l’epidemia si aggravò, Trump inviò l’Esercito a costruire ospedali da campo e inviò una grande nave-ospedale della Navy. Trump soccorse gli Stati, tutti Democratici, che pagavano la loro cattiva gestione sanitaria e di bilancio; e i riconoscimenti che ne ha ricevuto da governatori e sindaci Democratici sono stati soltanto temporanei. A New York, dove il governatore Cuomo affermava la necessità di “50 mila ventilatori”, ne fece consegnare rapidamente decine di migliaia (in realtà ne servirono 6 mila). Ci si deve chiedere che cosa sarebbe accaduto se Trump non avesse agito già alla fine di gennaio, fermando i voli con la Cina; o se non avesse riempito il vuoto di preparazione di alcuni Stati e inviato le risorse necessarie; o se non avesse convinto grandi industrie private a produrre materiali sanitari, in quella che è stata la maggiore mobilitazione del settore privato su scopi fissati dal governo, dalla Seconda Guerra Mondiale in poi. Il numero di morti a New York, o nel New Jersey, o a Detroit, sarebbe stato molto più alto, secondo alcune valutazioni 10 volte di più. Riguardo al secondo scopo dei Democratici e dei loro media, cioè distruggere l’economia, dirò qualcosa più avanti.

Conseguentemente ci viene da pensare per quale motivo gli intellettuali europei e italiani hanno sempre giudicato superficialmente con un certo snobismo d’accatto, sbagliando, la politica americana e, in particolare, figure come Reagan e ora Trump, liquidati come “pupazzi” di scarso spessore culturale e morale?

Il sussiego antiamericano è tra le manifestazioni più squalificate, sul piano culturale e anche morale, esibite da molti intellettuali europei e italiani. Purtroppo è anche una malattia infettiva, che ha contagiato le università, i licei, i mass media, e dunque ha avuto penosi ma durevoli effetti sull’opinione pubblica disinformata. Almeno dalla fine degli anni Sessanta, gli intenzionali travisamenti di alcune scelte politiche degli USA hanno favorito gli obiettivi della sinistra politica europea. Ciò ha avuto effetti deleteri soprattutto per i giovani. Nei confronti in particolare di Reagan e oggi di Trump, il progetto di disinformazione fu ed è di ampie proporzioni, ben finanziato, condiviso su varie piattaforme sociali. L’intenzione è malvagia, benché non si possa escludere una significativa base di ignoranza. Nel caso di Trump, le azioni sono più estreme perché sono cambiati i media americani, di cui in Europa e in Italia si riproducono notizie orientate, manipolazioni, finalità. Negli USA il 90-92% dei media, secondo ricerche condotte dal bipartisan Media Research Center, è avverso a Trump e lo combatte con attacchi quotidiani. Per l’antiamericanismo d’accatto (come Voi dite) europeo, è una festa di triviale disinformazione. E di più: tra chi controlla negli USA i media più diffusi e chi gestisce il sussiego e le menzogne anti-Trump in Europa, gli obiettivi sono gli stessi.

Hanno senso, a suo parere, quelle posizioni che vorrebbero il passaggio dalla Ue agli Stati Uniti d’Europa?

Già adesso la UE fatica a stare in piedi per gli eccessi di burocrazia, per il prevalere del potere finanziario, per l’incongruenza di un parlamento pletorico e strapagato, per l’allargamento eccessivo di una moneta unica in assenza di politiche fiscali comuni. E per il cedimento a un’invasione immigratoria che ha cambiato il volto delle società. L’uscita della Gran Bretagna ha ridimensionato l’UE. Ma per l’Europa (come per la Gran Bretagna) il rischio mortale, che già è in una fase avanzata, viene da un’immigrazione senza freni e di crescente prepotenza sociale. In questo contesto il progetto di Stati Uniti d’Europa non ha consistenza.

Riteniamo che l’accordo con il Messico inauguri un paradigma innovativo, e quasi rivoluzionario, in materia di scambi commerciali e di gestione dei flussi migratori, che andrebbe adottato, magari adattandolo, alle realtà europee e italiana. Che ne pensa? Ce lo vuole illustrare sinteticamente nei suoi passaggi fondamentali?

La sostituzione dello sbilanciato trattato NAFTA, che ha penalizzato l’economia USA per un quarto di secolo, con il nuovo accordo commerciale tra USA, Messico e Canada, è un successo di Trump e risulta utile anche al Messico, introducendovi migliori politiche ambientali e del lavoro. Per quanto riguarda l’immigrazione attraverso il confine sud degli USA, i ritardi nelle modifiche all’immigrazione legale e nel contrasto a quella illegale sono il maggiore insuccesso della presidenza Trump. Per i passaggi illegali attraverso il confine, il cambiamento è iniziato soltanto nell’estate 2019, dunque molto tardi. A comporre il cambiamento vi sono la costruzione del muro, cioè di una barriera di assi d’acciaio, che attualmente è costruita su 290 km, due terzi dei quali in sostituzione di inefficaci barriere già esistenti, e che dovrebbe divenire entro inizio 2021 di 540 km (su un confine di 2300 km). Poi nel cambiamento vi sono nuove regole per i controlli di confine, una modestissima correzione dell’abusato diritto di asilo, e altre innovazioni, tutte contrastate in ogni dettaglio e per anni da politici e giudici negli USA. Nel cambiamento vi sono anche accordi con il Messico, che hanno condotto a una riduzione delle carovane di migranti che dal Centroamerica si dirigono verso il confine USA, che sul lato messicano è controllato dai cartelli della droga e da criminali. Altri accordi hanno condotto all’utile patto definito “Remain in Mexico”, che consente di far attendere decine di migliaia di migranti sul suolo messicano, fino alla delibera di un giudice USA riguardo alla loro richiesta di asilo. Queste ed altre misure non hanno impedito che i numeri dell’immigrazione illegale, benché molto scesi dalle folli cifre di inizio estate 2019 (140 mila nel maggio 2019), rimangano ingestibili e corrosivi per la società, quanto quelli dell’immigrazione legale: all’incirca un milione l’anno legale, poco meno illegale. Ciò fino alla pandemia, che ha ridotto i traffici. Oggi, con il Messico, il Brasile ed altri paesi sudamericani che sono tra i massimi focolai mondiali del virus di Wuhan, ulteriori revisioni hanno un’urgenza assoluta. Si tratta di paesi verso cui gli USA stanno inviando decine di migliaia di ventilatori per la terapia dei casi gravi ed altri aiuti sanitari, come avviene verso popolosi paesi asiatici (India, Indonesia) e verso l’Africa. Sono paesi con i quali potrebbero intervenire accordi per frenare l’immigrazione illegale.

Benché negli USA il problema di un’invasione immigratoria rimanga di proporzioni destabilizzanti, certamente, come Voi dite, negli accordi e nella faticosa ricerca di soluzioni, e nei lenti miglioramenti, attuati dal governo Trump sulla questione immigrazione, vi sarebbe – in un mondo ideale – un modello da applicare per l’Italia e per l’Europa.

Ritiene che dall’esperienza tragica della pandemia possa scaturire, fra tante altre cose, un embrione di nuovo pensiero critico dell’essere-nel-mondo? Ergo è cambiato, cambierà, come dicono in molti, il mondo?

Come Voi dite, sulle conseguenze della pandemia sono molte le teorie, che vanno dalle previsioni sulle relazioni sociali (come il perdere l’uso di stringersi la mano) a quelle su un avvicinamento a filosofie escatologiche o evoluzioniste, o a quelle su una crescente presenza del satanismo. Direi che in tutto questo vi è un’enfasi eccessiva. Tra le alchimie del pensiero una delle più irritanti è quella di una “decrescita felice”: un banale utopismo antieconomico. Possiamo invece augurarci che tra i giovani vi sia un reset di apprezzamento della libertà, e nell’opinione pubblica un aggiustamento di mentalità che porti a non dipendere dai media e dal pensiero di gruppo. Per esempio, è necessario un giudizio critico sulla perfidia del governo cinese, senza coinvolgere il popolo cinese; oppure su quanto vi è di marcio nel globalismo di agenzie come l’OMS; oppure sul reale significato della guerra a Trump e delle menzogne che essa pratica con costanza.

Per quanto riguarda gli USA, la cosa più urgente è opporsi al disegno dei leader Democratici, e dei governi Democratici in alcuni Stati, di usare la pandemia per danneggiare l’economia con il prolungare chiusure non giustificate, e poi accusare Trump della distruzione economica. Alla fine di maggio vi sono negli USA 38 milioni di disoccupati, la cifra più alta dalla Depressione degli anni Trenta (tralascio qui l’argomento che le leggi di spesa, approvate come soccorso per le conseguenze sociali della pandemia, con sussidi prolungati per quattro mesi rendono troppo spesso, per categorie di lavoratori e società, più vantaggioso il non lavorare del contrario). Il lockdown ha significato accettare la sospensione delle libertà costituzionali. Nel momento dell’emergenza, a metà marzo, vi era l’esigenza di evitare il mortale sovraccarico degli ospedali. Un mese dopo lo scenario era cambiato. Il 25 maggio, quando gli ospedali negli USA sono vuoti e del tutto in grado di trattare l’epidemia, e quando in ogni luogo di lavoro o sociale si è imparato a fronteggiarla, proseguire il lockdown, come fanno gli Stati a governo Democratico, ha il solo scopo di controllare la società, impoverire la classe media, distruggere le attività artigiane per renderle dipendenti dal governo, demolire l’economia e poi pretendere che questa sia l’eredità di Trump. Con la supervisione dei leader Democratici in Congresso, l’obiettivo è perseguito da governatori e sindaci Democratici a Filadelfia e parte della Pennsylvania, nelle città della Virginia, in New Jersey, a New York, a Chicago e parte dell’Illinois, a Detroit e in Michigan, in Carolina del Nord: dunque in regioni importanti per la ripresa dell’economia, e in alcuni Stati decisivi per l’esito delle elezioni. A Los Angeles il sindaco Garcetti dichiara: “Non apriamo finché arriva il vaccino”, il che è un’assurdità, se non è di peggio. Il governatore della California, Newsom, mantiene senza credibile motivazione il lockdown nella Central Valley, che produce ed esporta frutta e verdure in molte parti del mondo. L’insolente governatrice del Michigan, la Whitmer, manda la polizia ad arrestare chi è andato a lavorare. Anche ammesso che il lockdown fosse giustificato sei settimane prima – cosa su cui vi sono pareri discordanti da parte di medici ed epidemiologi –, di certo non lo è più il 25 maggio. Non si tratta più di battaglia contro il virus di Wuhan. Si tratta di una nuova guerra civile.

Se da tutto questo l’opinione pubblica ricavasse per il dopo-pandemia un pensiero critico, come Voi lo definite, si tratterebbe di un cambiamento più importante del non stringersi la mano. Lascio invece per un’altra occasione un fattore che negli USA diventerà decisivo nei prossimi mesi: il progetto, da parte delle stesse forze che prolungano il lockdown, di usare la pandemia per modifiche su scala nazionale del sistema di voto: modifiche portatrici di temibili frodi elettorali.

Senza scevri condizionamenti, la conversazione con Claudio Taddei è decisamente una finestra aperta al cuore della politica americana, e mondiale, quantomeno per coloro che abbiano voglia di saper ascoltare…

Alessio Ditta e Aldo Musci

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